Beverly J. Silver – Le forze del lavoro. Movimenti operai e globalizzazione dal 1870


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Biografia
Beverly J. Silver è docente di Sociologia presso la Johns Hopkins University di Baltimore (Maryland). È autrice di Forces of labor. Workers’ Movements and Globalization since 1870 (CUP, Cambridge 2003). Ha ricevuto due volte il “Distinguished Scholarly Publication Award” dalla sezione Pews (Political Economy of the World-System) dell’American Sociological Association. Per Bruno Mondadori ha pubblicato Caos e governo del mondo (con G. Arrighi, 2003) e Le forze del lavoro. Movimenti operai e globalizzazione dal 1870 (2008).

Abstract
Un libro innovativo, imparziale e rigoroso, un’analisi comparativa di lungo periodo che si avvale di un’imponente raccolta di dati. Nell’esaminare le trasformazioni storiche, le forme di resistenza e il ruolo dei movimenti operai nei paesi del Nord e del Sud del mondo, l’autrice dimostra che i movimenti su scala locale sono sempre connessi con i processi politici e socio-economici che avvengono su scala globale coincidendo con l’avvicendarsi dei settori nevralgici dello sviluppo capitalistico e la localizzazione geografica della produzione. Punto di partenza della monografia è un quesito: il movimento operaio è destinato irreversibilmente a perdere la sua forza e la sua capacità negoziale?

L’autrice studia le trasformazioni principali delle lotte operaie, il passaggio dalla centralità del settore tessile a quella del settore automobilistico fino a quelle odierne dei settori dei trasporti e delle comunicazioni e mostra il ruolo che ancora oggi in molte parti del mondo, specialmente dove è stata delocalizzata parte dell’attività industriale, giocano i movimenti dei lavoratori. La ricerca è condotta in maniera rigorosa, e il ventaglio di possibilità di azione e organizzazione che presenta non derivano da una tesi a priori, ma da un’attenta disamina dei dati sull’andamento delle lotte operaie in una pluralità di paesi del Nord e del Sud del mondo. Il libro è un esempio raro di sociologia rigorosa, basata su analisi comparative di lungo periodo capaci anche di fornire ragionevoli previsioni sulla direzione che i fenomeni sotto osservazione prenderanno nel futuro.

 

Capitolo 1. Introduzione
La crisi dei movimenti operai e degli studi sul movimento operaio
Nell’ultimo ventennio del Novecento si registra, nell’ambito delle scienze sociali, una condizione di crisi avanzata dei movimenti operai, con il relativo affievolirsi degli studi ad essi dedicati. I fattori che conducono a tale conclusione possono essere in tal modo schematizzati: diminuzione del numero di scioperi e di altre espressioni di militanza dei lavoratori; calo delle adesioni al sindacato; riduzione dei salari a fronte di una crescente precarietà lavorativa. William Sewell, a tal proposito, nota che l’inadeguatezza della classe operaia nello svolgere quel compito liberatorio assegnatole tanto dai discorsi rivoluzionari quanto da quelli riformisti, fa perdere parte del proprio peso allo studio della sua storia (Sewell, 1993).

Questa doppia crisi si configura come “strutturale” e “di lungo periodo”, poiché correlata alle trasformazioni epocali caratterizzanti gli ultimi decenni del ventesimo secolo e derivanti dal fenomeno globalizzante. Aristide Zolberg, in linea con tale constatazione, ritiene che gli stravolgimenti propri degli ultimi decenni del Novecento abbiano comportato un’irreversibile sparizione della classe operaia (Zolberg, 1995). Analogamente, Manuel Castells sostiene che l’avvento dell’era informatica abbia trasformato la sovranità statale e le esperienze lavorative ledendo la capacità del movimento operaio di agire come gruppo socialmente coeso in rappresentanza degli operai (Castells, 1997).

Parallelamente a queste posizioni, se ne registrano altre totalmente contrapposte che, invece, a partire dalla fine degli anni novanta, mettono in evidenza una netta ripresa dei movimenti operai in relazione alla crescente reazione contro i disagi scaturenti dalla globalizzazione: nella Francia del 1995, lo sciopero generale contro i tagli al settore pubblico segnava ufficialmente la prima ribellione contro la globalizzazione (da Le Monde). Negli Stati Uniti, si rinnova l’interesse nei confronti dei movimenti operai, in seguito a questo attivismo, con la conseguente volontà di coinvolgimento degli intellettuali nello studio del fenomeno attraverso la divulgazione di pubblicazioni ad esso pertinenti.

Data l’evidente ambivalenza delle posizioni ideologiche registrate in materia, l’autrice, al fine di palesare lo scopo principale nonché punto di partenza della sua monografia, si chiede quale fra le due attese divergenti sia la più plausibile; per poter condurre un’indagine analitica esauriente ed oggettiva, e dare un’adeguata risposta all’interrogativo sotteso all’opera in questione, è necessario ricostruire gli studi sul lavoro in un quadro di riferimento storicamente e geograficamente ampio ed articolato. A seconda della prossimità o dello scostamento da parte degli studiosi rispetto alla concezione che vede nel mondo contemporaneo un elemento di “novità storica”, sarà possibile registrare differenti valutazioni sul futuro dei movimenti operai. Nello specifico, coloro che circoscrivono tali movimenti in una fase di crisi irreversibile ed inarrestabile, ritengono che l’epoca contemporanea sia fondamentalmente nuova e senza precedenti; coloro che, invece, s’attendono una ripresa significativa dei movimenti operai considerano lo stesso capitalismo storico in termini di dinamiche ricorrenti. Dunque, le previsioni circa il futuro dei movimenti devono basarsi sul confronto tra le dinamiche contemporanee ed analoghe dinamiche emerse nel passato: in tal modo sarà possibile separare i fenomeni ricorrenti da quelli effettivamente nuovi. L’obiettivo è esplicitamente quello di distinguere, da vari punti di vista, per le agitazioni operaie mondiali, i meccanismi ricorrenti da quelli fondamentalmente nuovi e senza precedenti.

Dibattiti sul presente e il futuro dei lavoratori e dei movimenti operai.
Nelle parole dell’autrice, prima di procedere con l’esplorazione effettiva della tematica trattata, occorre analizzare due giudizi diametralmente opposti circa gli effetti che il fenomeno della globalizzazione sortisce in relazione all’istituto del movimento operaio. Da un lato, ci si chiede se i processi contemporanei di globalizzazione abbiano indebolito lavoratori e movimenti operai, innescando una “gara al ribasso” dei livelli salariali e delle condizioni di lavoro; dall’altro, ci si interroga sulla natura del fenomeno globalizzante e sulle conseguenze che ne derivano in relazione alla presunta creazione di condizioni oggettivamente favorevoli all’emergere di un forte internazionalismo operaio.

La crisi dei movimenti operai è stata spesso considerata come effetto dell’ipermobilità del capitale produttivo del tardo Novecento, che ha dato origine ad un mercato del lavoro unico caratterizzato dalla competizione individuale tra lavoratori su scala planetaria. Nell’ideologia di Jay Mazur, le aziende multinazionali hanno innalzato il livello di concorrenza tra i singoli lavoratori, mettendo sotto pressione il movimento operaio internazionale (Mazur 2000). Con tale constatazione s’intende sottolineare la drastica diminuzione del potere contrattuale dei lavoratori con il conseguente ribasso dei salari. In linea con tale ideologia, secondo altri studiosi, l’ipermobilità del capitale indebolisce la sovranità dello stato e con essa la capacità di controllare i flussi di capitale, nonché la capacità di proteggere il tenore di vita dei propri cittadini e i diritti dei lavoratori. Ed ancora, un’altra spiegazione della crisi del movimento operaio si focalizza sulle trasformazioni dell’organizzazione dei processi di produzione: tali “innovazioni di processo” minano alla base il potere contrattuale dei lavoratori. Nelle parole di Craig Jenkins e Kevin Leicht, il sistema fordista di produzione di massa concorre a rinforzare e rinvigorire l’identità sociale e collettiva dei movimenti operai che, al contrario, è resa flebile ed inconsistente dall’affermarsi del sistema postfordista. Inoltre, le pressioni esercitate dalla concorrenza globale costringono i datori di lavoro ad implementare sistemi di produzione “flessibile”: ciò è causa della trasformazione della solida classe operaia in una rete di rapporti temporanei e sbrigativi (Jenkins e Leicht, 1997). Al contrario, rispetto alle aree da cui il capitale è emigrato, nei luoghi di recente investimento si assiste alla formazione ed al rafforzamento di nuove classi operaie.

Ci si interroga a questo punto, circa l’eventuale presenza di tracce di un nuovo internazionalismo della classe operaia nel processo stesso che ha portato alla crisi dei vecchi movimenti operai: in questo caso specifico la globalizzazione della produzione avviene nell’ambito di ciascun paese, piuttosto che tra diversi paesi, di conseguenza la scissione tra Nord e Sud diviene sempre meno accentuata e rilevante. Ci si avvia verso la formazione di un’unica classe di lavoratori mondiale ed omogenea, che condivide condizioni di vita e di lavoro sempre più simili, come avviene, ad esempio, nel settore di produzione globalizzata delle multinazionali.

La possibilità di sovvertire il processo produttivo mediante un’eventuale azione oppositoria collettiva deve indurre i lavoratori a riunirsi in organizzazioni transnazionali ed estese, proprio come le aziende datrici di lavoro. Anche in tale ambito di riflessione, si registrano posizioni contrapposte tra coloro che promuovono l’internazionalismo dei lavoratori, in base all’idea che solo un movimento operaio globale possa rispondere efficacemente alle sfide poste dalle istituzioni globali, e coloro che considerano essere strategia più efficace l’esercitare pressioni sui propri governi al fine di ottenere l’implementazione di politiche favorevoli ai lavoratori. In definitiva, è opportuno sottolineare quanto le tendenze contemporanee e gli orientamenti delle politiche internazionali sul lavoro siano soggetti ad interpretazioni molto differenti. Il punto di vista espresso dagli intellettuali in relazione a tali problematiche dipende, in primo luogo, dalle valutazioni delle dinamiche di lungo periodo che contestualizzano il potere contrattuale dei lavoratori nei confronti dei rispettivi governi e dei datori di lavoro.

I conflitti della classe operaia in una prospettiva storico-mondiale: quadro teorico e concettuale.
Il fatto che la situazione attuale della classe operaia mondiale sia caratterizzata da molteplici controversie circa la sua effettiva carica reazionaria ed il suo potenziale oppositorio, obbliga a considerare diverse visioni dell’impatto della globalizzazione sul potere contrattuale dei lavoratori. Pertanto, è utile esporre la distinzione operata da Eric Olin Wright tra “potere associativo” e “potere strutturale”: il primo si riferisce alle varie forme di potere derivanti dal costituirsi di organizzazioni collettive di operai; il secondo, invece, scaturisce dalla specifica collocazione dei lavoratori nel sistema economico. La prima forma citata, inoltre, subisce un’ulteriore partizione in due sottocategorie: la prima, “potere di contrattazione legato al mercato”, deriva direttamente dai mercati rigidi del lavoro; la seconda, “potere contrattuale legato al luogo di lavoro”, si configura come potere connesso alla posizione strategica di in gruppo di lavoratori nell’ambito di un settore industriale fondamentale. Questo tipo di potere contrattuale si manifesta in tutta la sua intensità e valenza nell’ambito di processi produttivi strettamente integrati ed interrelati.

Coloro che colpevolizzano il fenomeno globalizzante per aver condotto i movimenti operai verso una condizione di crisi, individuano il pericolo proprio nella capacità delle varie manifestazioni della globalizzazione di indebolire tutte queste forme di potere contrattuale dei lavoratori. Ad esempio, il potere contrattuale connesso al mercato potrebbe essere minato dalla mobilitazione di un “esercito industriale di riserva” su scala mondiale. Inoltre, tale fenomeno ha danneggiato il potere di contrattazione dei lavoratori delegittimando sindacati e partiti politici, impossibilitati, oramai, nella distribuzione di vantaggi alla classe lavoratrice per i propri diritti: si verifica un indebolimento del potere associativo di contrattazione con la conseguente erosione del potere di contrattazione legato al mercato. Una parte degli studi sulla globalizzazione e sul lavoro sostiene che la crisi dei movimenti operai sia dovuta non alle trasformazioni delle condizioni lavorative strutturali, ma ai mutamenti avvenuti nel dibattito intorno a tali tematiche: l’idea della assoluta mancanza di alternative alla globalizzazione esercita un potente effetto di smobilitazione sui movimenti operai. Nelle parole di Piven e Cloward, il processo di accumulazione del capitale su scala mondiale determina una distruzione della convinzione del potere dei lavoratori (Piven e Cloward, 2000).

L’analisi descritta nell’ambito del testo, finalizzata all’esposizione delle fasi evolutive nello spazio e nel tempo del potere contrattuale dei lavoratori in tutte le sue forme, segue due differenti teorie sull’interpretazione della relazione tra le lotte operaie e i processi attivati dalla globalizzazione: pur essendo entrambe incentrate sulle contraddizioni sociali insite nella trasformazione del lavoro in merce, l’una si focalizza sulla discontinuità temporale di tale fenomeno, l’altra sulla sua disomogeneità spaziale. In questo specifico ambito analitico, si collocano le riflessioni teoriche di Karl Marx e Karl Polanyi atte a spiegare lo sviluppo storico mondiale dei movimenti operai. Entrambi considerano il lavoro una “merce fittizia”: ogni tentativo di considerare gli esseri umani come un merce uguale alle altre non può che condurre a reazioni oppositorie violente e contrastanti. In tale contesto, la lettura interpretativa di Marx induce ad accentuare la natura a fasi delle trasformazioni nelle forme di resistenza opposta dai lavoratori caratterizzante il capitalismo storico; invece, la lettura di Polanyi mette in evidenza la natura oscillatoria di questa attesa resistenza.

L’analisi di Polanyi si basa sull’idea che l’estensione del mercato autoregolato determina un movimento di opposizione in quanto stravolge i patti sociali comunemente accettati e stabiliti che riguardano il diritto ai mezzi di sussistenza: la resistenza è quindi alimentata da un senso di “ingiustizia”. L’analisi di Marx, invece, si incentra anche sul potere nell’identificare i limiti del capitale: questo non ha alcun valore senza forza lavoro, e lo sviluppo capitalistico stesso porta ad un rafforzamento strutturale di coloro che la detengono. Da un lato, l’espansione della produzione capitalistica tende a rafforzare i lavoratori e induce il capitale a un confronto diretto e ricorrente con movimenti operai forti. Le concessioni finalizzate a tenere tali movimenti sotto controllo sono causa dell’avanzamento del sistema verso una crisi di redditività: per risollevare i profitti si determina, però, la rottura di patti sociali prestabiliti, nonché una maggiore mercificazione del lavoro con la conseguente crisi di legittimazione degli operai. Crisi di redditività e crisi di legittimazione delineano una tensione costante all’interno del capitalismo storico.
In particolare, l’osservazione secondo la quale lavoratori e movimenti operai sono continuamente costituiti e ricostituiti è utile a contrastare alcune definizioni eccessivamente rigide della classe operaia. Dunque, è necessario identificare le reazioni “dal basso” contro gli aspetti creativi quanto distruttivi dello sviluppo capitalistico: in questo libro si tenta una combinazione fra il modello di Marx e quello di Polanyi al fine di enucleare da tale fusione un’analisi oggettiva delle dinamiche di lungo periodo della classe operaia globale.

Metodi e strategie della ricerca.
La piena comprensione delle dinamiche dei movimenti operai contemporanei necessita di un’analisi di vasto respiro storico e di ampia portata geografica. Le valutazioni circa il futuro dei movimenti dei lavoratori si fondano su di un giudizio a proposito della novità storica rappresentata dal mondo contemporaneo. Coloro che pongono i movimenti degli operai in una situazione di crisi irreversibile ritengono che l’epoca attuale sia fondamentalmente nuova e senza precedenti, un’epoca in cui i processi economici globalizzati hanno completamente stravolto l’impalcatura propria della classe operaia. Al contrario, coloro che attendono un ritorno significativo dei movimenti operai attribuiscono allo stesso capitalismo storico dinamiche ricorrenti, tra cui il continuo riprodursi di contraddizioni e conflitti tra capitale e lavoro.
L’analisi descritta in questo libro si rivolge al passato alla ricerca di modelli di ricorrenza e di evoluzione, in modo da poter circoscrivere l’elemento di innovazione nella situazione che i movimenti operai si trovano attualmente a dover fronteggiare: solo attraverso questo paragone è possibile distinguere i fenomeni storicamente ricorrenti da quelli realmente nuovi e senza precedenti.

Una delle premesse metodologiche su cui si fonda l’indagine qui descritta sta nell’assunto secondo il quale lavoratori e movimenti operai situati in contesti territoriali differenti sono tra loro collegati dalla divisione del lavoro su scala mondiale e da fenomeni politici globali. Dunque, occorre capire i processi che mettono in relazione ai singoli casi su scala mondiale, sia nel tempo sia nello spazio. Ci si riferisce, nello specifico, ai processi relazionali “diretti”, che, assumendo la duplice forma di diffusione e solidarietà, comportano un’influenza dell’azione di attori sociali distanti nello spazio e nel tempo ad opera della conoscenza del comportamento degli altri e delle relative conseguenze, nel primo caso, mentre necessitano del contatto diretto e dello sviluppo di reti sociali, nel secondo; ed ai processi relazionali “indiretti” nell’ambito dei quali gli attori coinvolti non sono del tutto consapevoli dei loro legami, ma sono uniti senza saperlo da processi di tipo sistemico. L’approccio strategico proposto si basa sulla ricerca delle variazioni, analizzando come la stessa esperienza di proletarizzazione abbia portato ad esiti differenti: questo è assimilabile a quello che Philip McMichael (1990) definisce incorporating comparison (“paragone incorporante”), ovvero una strategia secondo cui le interazioni tra una molteplicità di sottounità del sistema crea il sistema nel corso del tempo. In definitiva, questo libro intende tracciare una storia della formazione della classe operaia in cui gli eventi si sviluppano in una dinamica spazio-temporale.

Al fine di attuare tale strategia di ricerca, è necessario disporre di un quadro delle forme generali della militanza operaia di notevole ampiezza storica e geografica: occorrono informazioni inerenti a tutti i casi su scala mondiale, dagli inizi del movimento operaio moderno, cioè dal tardo Ottocento, fino a oggi. Fino a pochi anni fa non esistevano dati sulle mobilitazioni dei lavoratori che coprissero un ambito storico-geografico così ampio: solo alcuni paesi industrializzati sono muniti di archivi storici degli scioperi, ed inoltre i dati statistici su questi stessi fenomeni sono stati spesso raccolti secondo criteri che escludono alcune tipologie di pratiche oppositorie ritenute secondarie.

L’indagine qui condotta può, tuttavia, avvalersi di un nuovo database concepito appositamente per superare i limiti geografici e tipologici delle fonti precedenti: è il database World Labor Group (WLG). Questo nasce dal ricorso alle maggiori testate giornalistiche come fonti di dati utili per costruire indici di protesta sociale. Il WLG, nell’elaborazione del database, fa riferimento solo al “Times” di Londra ed al “New York Times”. Dal punto di vista metodologico, i ricercatori del WLG hanno letto gli indici di queste testate dal 1870 al 1996, registrando ciascun episodio di mobilitazione operaia identificata su schede standard per la rilevazione dei dati. Sottoposto ad approfonditi studi di attendibilità, il database WLG risulta essere uno strumento valido ed efficace per identificare gli anni in cui sono stati raggiunti livelli particolarmente elevati di mobilitazione operaia in paesi specifici. La mappa fornita da questo sistema informatico è alla base dello studio della storia delle principali ondate di protesta dei lavoratori nello scorso secolo.

Augusto Cocorullo – Università degli Studi di Napoli “Federico II” – Dipartimento di Scienze Sociali – Dottorato di Ricerca in Scienze Sociali e Statistiche – XXIX ciclo

 
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