Un vecchio racconto

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L’aveva ricevuta il giorno del suo ottavo compleanno, e da allora non aveva fatto altro che prendersene cura. Aveva i fiori più belli che avesse mai visto. Bianchi, con delle venature di un rosso che non avrebbe saputo paragonare a nient’altro, splendevano fra quelle foglie di un verde brillante, vivo. La teneva davanti alla finestra della sua cameretta, ma non c’era giorno che non la portasse sul terrazzo a godere il sole nelle ore più tiepide della sera, l’ annaffiava e toglieva le foglie e i petali caduti, dopodichè si sedeva e la guardava, stando attento che nessun insetto o uccellino potesse avvicinarsi. Aveva provato parecchie volte a disegnarla, ma per quanto si sforzasse i colori non erano mai quelli che desiderava.

Era passata una settimana; i genitori si erano molto stupiti di quanto gli fosse piaciuto quel regalo, ma avevano pensato che presto se ne sarebbe stancato come spesso aveva fatto con i giocattoli che pure aveva ricevuto, e invece ciò non accadeva. La mattina prima di partire, il pomeriggio appena tornato da scuola, la sera dopo aver fatto – suo malgrado – tutti i compiti, il suo primo pensiero era di andare a vedere come stava la sua piantina, contare di nuovo i fiori sbocciati e i germogli che un giorno sarebbero stati fiori, ed era felice ogni volta che trovava più fiori del giorno prima, e si rattristava ogni volta che ne trovava uno per terra. Se succedeva, lo raccoglieva e lo conservava in un quaderno che teneva apposta fra gli altri, sulla scrivania.

Erano un po’ di giorni che la piantina non sembrava stare più bene come prima; i fiori cadevano, non nascevano nuovi germogli né sbocciavano quelli che già c’erano, e le foglie non erano più verdi come prima. Tutto ciò lo rendeva molto triste. Perché la piantina moriva? Lui ne aveva avuto cura, continuava ad averne come e più di prima, perchè non nascevano altri fiori? E perchè quelli che ancora resistevano non erano più brillanti e speciali come prima? Chiese a suo padre, ma lui disse che non se ne intendeva, e che comunque quel genere di piante si regalavano ben sapendo che sarebbero state buttate via non appena avessero cominciato a rovinarsi, non erano fatte per durare a lungo. Capì, ma non volle accettare.

Prese il suo vaso, cercando di non toccare i fiori che erano diventati più fragili che mai, e scese al piano di sotto. Ci abitava un vecchietto con i baffi, che aveva visto un sacco di volte nel giardino del condominio; quando il tempo era bello scendeva e si sedeva in mezzo ai fiori, quei fiori tristi di città che lui non aveva mai degnato di attenzione e che spesso aveva pure calpestato o distrutto giocando a pallone. A volte aveva avuto addirittura l’impressione che ci parlasse, con quei fiori. Forse per questo sperava che lui potesse aiutarlo.

Bussò alla porta, dopo un po’ aprì, e sorrise quando il ragazzino gli mostrò la pianta e gli parlò di quanto l’avesse amata e gli chiese, quasi piangendo, se avesse sbagliato qualcosa, e lo implorò di fare qualcosa per salvarla. Egli si mise gli occhiali e la osservò un po’, poi con un dito spostò il terreno dalla parte più vicina alle radici, e rivolse un sorriso benevolo al bimbo che aveva interrotto la sua noia televisiva con una richiesta tanto strana.
“Questa pianta non ce le ha le radici” disse. Incredulo, il ragazzino si avvicinò; guardò dove c’era meno terreno e vide che era proprio così.
“Perché non ce le ha?” disse trattenendo a stento le lacrime.
“Eh… questo era solo un ramo di una pianta. L’hanno messo nel vaso con un po’ di terreno e l’hanno venduto. Tanto chi te l’ha regalata pensava che l’avresti buttata subito…” “Non si può salvare?” “Temo proprio di no. Anzi, mi chiedo come sia sopravvissuta tanto tempo senza radici… di solito non durano che un paio di giorni”.
Prese il vaso e lo porse al bimbo. “Credo che sia vissuta tanto a lungo solo per l’amore che le hai dato tu…” sorrise di nuovo e lo accompagnò alla porta.
“Aspetta… Qualcosa puoi fare però” disse mentre già lo vedeva salire le scale. Il bambino si voltò di scatto, con gli occhi pieni di speranza:”Che cosa?” “Non dimenticarla. Non buttarla via. Un giorno potresti avere una bella sorpresa.”
Non capì, e anzi si arrabbiò un po’ perchè si sentiva preso in giro, ma decise che avrebbe fatto come gli aveva detto il vecchietto. Dopotutto, non poteva perderla più di tanto.

Dopo un po’ la pianta seccò del tutto; nonostante gli facesse male vederla ancora lì, la tenne ancora sul davanzale finchè non ne rimase più nulla, nonostante la madre avesse tentato più volte di convincerlo a buttarla.
Passarono mesi; un giorno di primavera, si svegliò e vide che c’era qualcosa di nuovo: una piccolissima piantina, che si vedeva a malapena, era spuntata dal terreno nel vaso dove quella vecchia era seccata.
In pochi giorni crebbe, germogliò, fiorì. Non aveva mai visto fiori così stupendi.

 

Aldo Terminiello, studente all’ultimo anno del corso di laurea in Letterature e Culture Comparate (con indirizzo Inglese e Cinese) all’Università “L’Orientale”, s’interessa principalmente di letteratura, fumetti e musica e ama cercare di leggere la realtà come se fosse un libro. Scarabocchiatore, dj, animatore ACG, traduttore, cuoco, cameriere, tecnico del computer, videomaker, scrittore, poeta, storpiatore di canzoni e soprattutto dormitore a livelli agonistici, è ancora in attesa di capire “cosa vuole fare da grande”.

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Pasolini e Petrolio, tra processi post-mortem e indagine letteraria

Interessantissimo articolo, filologico-sociale, su un autore decisamente importante per la nostra società e assai scarsamente compreso.. ad esempio “l’assenza di una reciprocità tra i personaggi coinvolti nel rapporto sessuale, come a dire che siamo dinanzi a sole macchine, prive di coscienza” ci riporta a nevrosi an-orgiastiche – nel senso reichiano – ed a quella dicotomia sesso-orgasmo.. E’ un articolo, insomma, ricco di spunti
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il rumore delle cose

Il 30 Ottobre 1992 la casa editrice Einaudi distribuì nelle librerie la prima edizione di Petrolio. Qualche giorno prima, il 25 di Ottobre, il testo venne presentato in anteprima al Gabinetto Viesseux di Firenze, dove tutt’oggi si conserva lo scartafaccio originale.

426149_10200234980471243_1371357141_nApp 8-9 dedicati a carriere di petrolieri, entro cui si delinea quella di Carlo.

8 Settembre 1973

Padrino della rassegna fu l’autorevole filologo Aurelio Roncaglia, curatore dell’edizione critica, copia che ancora oggi presenta in calce un’importante nota filologica, indispensabile alla comprensione del romanzo. Profonde erano, infatti, le preoccupazioni degli editori dell’opera in merito alla leggibilità dell’operazione. Roncaglia, in sede di presentazione, avrebbe di fatto illustrato una serie di criteri utili a una più agile comprensione dell’opera ai giornalisti e agli intellettuali presenti, i quali ricevettero una copia in anteprima del testo. A giudicare da quello che sarebbe accaduto da lì a poche ore, è indiscutibile che le preoccupazioni…

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L’assenzio – Degas

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“Perché bevo? Perché non riesco ad affrontare la vita quando sono sobrio”.

Bukowski sembra centrare in pieno lo stato d’animo dei protagonisti, l’attrice Ellen Andrée e l’incisore Marcellin Desboutin, seduti al Café de la Nouvelle Athènes, in Place Pigalle a Parigi.

L’Assenzio sembra essere l’unica consolazione per le loro anime perdute, per la vita presa in ostaggio da quell’ inalienabile inettitudine che non offre alcuna possibilità di riscatto. Gli occhi stanchi dei protagonisti lanciano sguardi diversi, ma che sottolineano la stessa condizione borderline: quello di lei, freddo e perso nel vuoto, è lo sguardo di chi, seduto nell’angolo di un cafè parigino, pensa al tempo perduto, a quello che non è stato, ma che poteva essere, alla vita che avrebbe potuto osare, ai sogni d’infanzia e alla realtà del presente; quello di lui volge altrove, in qualche altro angolo del locale o,probabilmente, in qualche altro angolo della vita, impegnato a spiare in maniera discreta la vita degli altri, la vita di artisti non più fortunati, ma solo più ingenui.

I due sono insieme, ma non in quel momento, due solitudini che non si incontrano. Degas sembra essere l’unico nel locale accortosi della coppia e , probabilmente, ha deciso di farne il soggetto del suo dipinto per la vicinanza che egli stesso avvertiva nei confronti dei due artisti e, soprattutto, per la vicinanza che avvertiva tra i due ed il resto dell’umanità, proprio come a dire “Nella solitudine, non siamo soli”.

Federica Florio

 
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L’assenzio – Degas


“Perché bevo? Perché non riesco ad affrontare la vita quando sono sobrio”.

Bukowski sembra centrare in pieno lo stato d’animo dei protagonisti, l’attrice Ellen Andrée e l’incisore Marcellin Desboutin, seduti al Café de la Nouvelle Athènes, in Place Pigalle a Parigi.

L’Assenzio sembra essere l’unica consolazione per le loro anime perdute, per la vita presa in ostaggio da quell’ inalienabile inettitudine che non offre alcuna possibilità di riscatto. Gli occhi stanchi dei protagonisti lanciano sguardi diversi, ma che sottolineano la stessa condizione borderline: quello di lei, freddo e perso nel vuoto, è lo sguardo di chi, seduto nell’angolo di un cafè parigino, pensa al tempo perduto, a quello che non è stato, ma che poteva essere, alla vita che avrebbe potuto osare, ai sogni d’infanzia e alla realtà del presente; quello di lui volge altrove, in qualche altro angolo del locale o,probabilmente, in qualche altro angolo della vita, impegnato a spiare in maniera discreta la vita degli altri, la vita di artisti non più fortunati, ma solo più ingenui.

I due sono insieme, ma non in quel momento, due solitudini che non si incontrano. Degas sembra essere l’unico nel locale accortosi della coppia e , probabilmente, ha deciso di farne il soggetto del suo dipinto per la vicinanza che egli stesso avvertiva nei confronti dei due artisti e, soprattutto, per la vicinanza che avvertiva tra i due ed il resto dell’umanità, proprio come a dire “Nella solitudine, non siamo soli”.

Federica Florio

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Banksy di Federica Florio

Basta solo il nome a dare il via ad accese conversazioni e a suscitare intrigo e curiosità. Egli è, senza alcuna ombra di dubbio, il più famoso e controverso street artist sulla scena mondiale e ad il suo lavoro diventa sempre più intrigante ad ogni nuovo capolavoro, considerando il fatto che l’artista continua a tenere segreta la propria identità. Le sue opere hanno fatto scalpore in America , Australia, Inghilterra, Francia , Israele , Giamaica e Palestina. I suoi messaggi satirici attraversano i confini tra arte,  politica, la sociologia , l’umorismo, il narcisismo. Sulla base di dichiarazioni personali, l’opera dell’artista sembra essere nata dopo un evento particolare. Egli racconta di quando, insieme ad un gruppo di amici, dipingeva graffiti sulle pareti di un treno fino a quando fu colto sul fatto dalla polizia. Banksy finì per nascondersi sotto un camion della spazzatura  e, mentre giaceva a terra in una pozza di petrolio, pensava ad un modo per rendere il processo di disegno più veloce e fu in quel momento che, vedendo le lettere realizzate con lo stencil sul fondo del camion, che nacque la sua arte. Banksy riesce ad essere unico nel suo genere grazie anche alle numerose iniziative che lo hanno contraddistinto:  infatti pare che le furtive apparizioni nei musei più famosi del mondo, tra cui il Brooklyn Museum, il Louvre ed  il Metropolitan Museum, lo abbiano reso famoso al punto da farsi desiderare dappertutto, che si parli di una grande metropoli o di un piccolo quartiere, e soprattutto dai più accaniti collezionisti.

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“Beautiful eyes”, Metropolitan Museum, Banksy

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Nobile francese che realizza graffiti sulla pace, Brooklyn Museum, Banksy

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Riproduzione della Monnalisa, Louvre, Banksy

Animato dal desiderio di comunicare un messaggio,  I suoi disegni – poliziotti, bambini, membri della famiglia reale inglese e topi sparsi in tutta Londra – sono a volte accompagnati da slogan: spesso hanno un messaggio contro la guerra, il capitalismo, il potere e l’avidità. Tra gli stencil più famosi vanno ricordati i famosi Rats: Il soggetto dei topi è stato scelto sia in quanto odiati, cacciati e perseguitati, eppure capaci di mettere in ginocchio intere civiltà, sia come denuncia ad una politica che vieta la libertà di pensiero e di espressione, in una società interamente controllata dai mass media e dalla stessa politica.

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Banksy è attivo anche in campo sociale, infatti la sigla della puntata dei Simpson trasmessa il 10 ottobre 2010 è firmata con il suo nome. L’artista pone l’accento sulla questione dello sfruttamento sul posto di lavoro: lavoratori asiatici, tra cui anche bambini e specie animali protette, producono in condizioni disumane i fotogrammi del cartone animato e il suo merchandising. La sequenza mostra provocatoriamente immagini di sfruttamento della manodopera minorile e violenza sugli animali (l’imbottitura delle bambole raffiguranti Bart Simpson è infatti ricavata dalla triturazione di gatti) e si conclude con il celebre stabile della Fox (quello che appare all’inizio di ogni film) trasformato in carcere di massima sicurezza.

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Impegnato anche da un punto di vista politico, Banksy ha dipinto murales sulla barriera di separazione israeliana, realizzata dal governo israeliano nei territori della Cisgiordania (soprattutto a BetlemmeRamallah e Abu Dis). Questa serie di graffiti rappresentano un invito alla pace, alla riflessione sulla condizione umana, soprattutto infantile.

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Bambino soldato

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Banksy realizza un ragazzo che, durante la guerra, sostituisce i sassi con mazzi di fiori

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Contro la guerra in Palestina, realizzato sulla barriera di separazione israelianaImmagine

“Bambina con il palloncino rosso”,contro la guerra in Siria

L’artista affronta anche tematiche legate all’avvento spietato del consumismo che, a suo avviso, sembra divorare la società industrializzata, senza che essa ne sia cosciente. A tal proposito realizza una serie di graffiti in varie parti del mondo che lasciano spazio ad un’attenta e profonda riflessione su quanto l’uomo sua influenzato dai mezzi di comunicazione che spingono l’uomo a consumare in sovrabbondanza, a distruggere se stesso e, soprattutto, il mondo in cui vive.         Immagine

Simbolo del consumismo estremo che distrugge la natura

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“Sirens of Lambs”, un camion di consegna dei mattatoi che gira per la zona dove si confeziona la carne

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Il “lavaggio del cervello” imposto dai mezzi di comunicazione che trasformano la società, creando automi ed individui stereotipati, persone a cui piacciono le stesse cose, vedono le stesse cose, ascoltano le stesse cose e, soprattutto, pensano le stesse cose.        Banksy non si pone l’obiettivo di cambiare lo stato delle cose, sebbene nelle sue opere sia evidente la rappresentazione di una società marcia dentro, ferma alla sola apparenza, contornata da una felicità e da un benessere entrambi fittizi. Ci si ferma alla superficie, non si ha interesse nello scoprire quello che c’è al di sotto. L’individuo crede di poter scegliere, crede che la società lo lasci libero di prendere decisioni personali, ma in realtà è proprio in quel momento che cresce dentro ogni membro di quella stessa società una “passività morale”, che ha già scelto per tutti. Con i suoi graffiti contro la guerra, il consumismo, il capitalismo e la violenza Banksy cerca di suscitare una riflessione nei membri di quella stessa società assopita e travolta dall’avvento della modernità e della tecnologia.  “La TV ha fatto sembrare inutile andare a teatro, la fotografia ha praticamente ucciso la pittura, ma i graffiti sono rimasti gloriosamente incontaminati dal progresso. Chi davvero sfregia i nostri quartieri sono le aziende che scribacchiano slogan in formato gigante sulle facciate degli edifici e sulle fiancate degli autobus, cercando di farci sentire inadeguati se non compriamo la loro roba. Ci vuole del fegato, e anche tanto, per levarsi in piedi da perfetti sconosciuti in una democrazia occidentale e invocare cose in cui nessun altro crede – come la pace, la giustizia e la libertà”.</

 
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Francis Bacon di Federica Florio

Francis Bacon è uno dei massimi esponenti artistici del periodo a cavallo tra il XIX ed il XX secolo. Oggi più di ieri, la sua pittura rappresenta una delle più affascinanti e spietate interpretazioni della realtà, una realtà nuda e cruda, capace di vedere al di là delle apparenze, oltre quello che l’occhio umano è in grado di percepire.   

Nato a Dublino nel 1909, Francis Bacon proviene da una famiglia agiata, ma che diede alla sua vita un’impostazione molto rigida, al punto che l’artista dopo aver confessato al padre la propria omosessualità , dichiarazione da cui scaturirono numerose e sempre più accese liti, fu costretto ad andar via di casa. Da allora, l’esistenza gli offrì una percezione della realtà che trasferì nella sua arte: l’espressione deformata e distorta delle sue opere trovò infatti riscontro nelle vicissitudini  in cui rimase coinvolto nel corso della sua storia personale. Visitò numerosi Paesi, tra cui Londra e Berlino,ma fu a Parigi che ebbe uno dei suoi più importanti incontri col modo dell’arte, in occasione di un’esposizione allestita per Picasso nella Galleria Paul Rosenberg, esperienza che lo portò a pronunciare le parole: “Mentre ero a Parigi ho visto una mostra di Picasso alla galleria Rosenberg, e in quel momento ho pensato: beh, cercherò anch’io di fare il pittore”.

Bacon esordì come designer e arredatore d’interni, ma ben presto abbandonò tale attività per dedicarsi unicamente alla pittura: la sua prima esposizione fu però un totale fallimento, tanto che, per quasi un decennio, dal 1934 al 1944, Bacon sparì dalla scena artistica: la sua pittura risultò essere ancora troppo prematura ed isolata per poter essere inserita ed apprezzata nel ampio e vario panorama artistico dell’avanguardia.

 

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Francis Bacon, Three Studies for Figures at the Base of a Crucifixion, 1944

Il 1944 fu l’anno della rivalsa: Three Studies for Figures at the Base of a Crucifixion,  realizzato nel 1944 ed esposto nel 1945, fu il suo primo vero capolavoro: il dipinto mostra il grido disperato di tre figure unito al tema della Crocifissione. Da questo momento in poi inizia la sua ascesa artistica con un numero sempre crescente di persone interessate alla sua opera, considerata originale e atemporale, tanto da essere stato definito come “il più importante pittore vivente”.

“So che per le persone religiose, per i cristiani la Crocifissione riveste un significato totalmente diverso. Ma per me, non credente, è solo un atto del comportamento umano, un modo di comportarsi nei confronti di un altro.” [Francis Bacon]

La visione che aveva del mondo veniva trasferita in ogni sua opera: da queste traspariva la volontà e, soprattutto, la necessità di non fermarsi alla superficie, ma di scavare, andare in profondità, fino alla completa lacerazione del Velo di Maya che rappresentava tutte le apparenze dietro cui la società continuava a nascondersi, le illusioni di cui continuava a nutrire gli altri ed, in primo luogo, se stessa, per sfuggire ad una realtà ben più triste di quella apparente e in cui regnavano, dolore, solitudine e angoscia.

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In Figure with meat del 1954 Bacon trasfigura il celebre ritratto di Papa Innocenzo X di Diego Velasquez (1649) ,rappresentando il soggetto tra due carcasse di bue che rappresentano, oltre al tema della Crocifissione, la struttura di una cattedrale. La figura infernale del papa sembra essere stata fotografata nel corso di un urlo atroce, come se l’artista fosse riuscito a cogliere la vera natura del soggetto, indagando la sua anima e andando al di là di quello che il soggetto stesso volesse far trasparire.

“Penso che sia il lieve distacco dal reale, che mi rituffa con maggior violenza nel reale stesso. Attraverso l’immagine fotografica mi ritrovo a vagare dentro all’immagine e a estrarne quella che ritengo sia la sua realtà più di quanto mi sia possibile semplicemente guardando a quella realtà, siamo potenziali carcasse”

 Probabilmente fu proprio per la sua estrema sensibilità nel percepire ogni cosa che Bacon iniziò a dedicarsi all’Arte, per riuscire a trovare un bene che gli era sempre mancato: “Sono diventato pittore per essere amato, più si è ossessionati dalla vita più lo si è dalla morte”.

Si dedicò anche alla realizzazione di ritratti e fu molto ispirato dall’artista Lucian Freud, soggetto di alcuni suoi dipinti tra cui:  “Tre studi di Lucian Freud”, l’opera d’arte più cara mai battuta ad un’asta, acquistata per 142,4 milioni di dollari.

Tra gli altri ritratti famosi sono i self portraits:

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Nel corso della sua carriera fu accusato di dipingere la realtà in modo distorto, addirittura orripilante, ma la verità è che era solo ricettivo e interpretava il mondo, l’uomo, per quello che era e non per come si mostrava.La pittura gli consentiva di esorcizzare i suoi demoni riuscendo così a sopportare con meno sofferenza la dannazione della vita, dove ogni giorno si tramutava in un “morire quotidiano”.

Francis Bacon morì a Madrid all’età di 82 anni, restando uno degli artisti più amati del suo tempo. Probabilmente, il motivo per cui Bacon riesce a suscitare ancora oggi molto interesse tra il pubblico, soprattutto tra i giovani, è proprio per la sua estrema vicinanza con la realtà, per la sua autenticità. Spesso accade che l’uomo si soffermi a pensare sulla vita, e ancor di più sulla morte , si riflette riguardo al senso di ogni cosa e riguardo ai rapporti con il resto della società e sembra che tutto sia come dovrebbe essere, ma arriva il momento in cui ogni uomo resta solo con se stesso e si ritrova a fare i conti con la propria anima ed è allora che si sente investito dal “male di vivere”, arrivando alla conclusione che la vita non è altro che un morire quotidiano e che tutta l’esistenza è sorretta da una “deforme razionalità”. Bacon si era ritrovato spesso solo con se stesso a dover affrontare i propri sentimenti, sentimenti che diventavano immagini distorte; e probabilmente sono proprio quei sentimenti a suscitare nell’uomo contemporaneo l’amore per quest’artista, come se egli trovasse nei suoi dipinti una sorta di consolazione in una società fortemente in conflitto, come se condividendo il suo pensiero gli individui condividessero qualcosa con la società di cui fanno parte, come a dire “ nella solitudine, non siamo soli”.

Federica Florio

 
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