LA RIVOLUZIONE ABORTITA

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LA RIVOLUZIONE ABORTITA

Lo straordinario, e certamente meritato, successo de “Il Capitale nel XXI secolo” di Thomas Piketty – il Kurt Cobain dell’economia – pone, a fianco a delle certezze economiche, dei dubbi politici. Se infatti l’analisi economica parte dal XVIII secolo (rivoluzione francese ed indipendenza americana in particolare) per arrivare a delle previsioni per il XXI, la struttura politica che potrebbe derivare da tale scenario economico non è chiara.

Ma andiamo con ordine. In estrema sintesi, quali saranno gli aspetti principali dell’economia del Ventunesimo secolo? Dato che l’aumento del capitale è inversamente proporzionale al tasso di crescita (r = s/g), un lungo periodo caratterizzato da un basso tasso di crescita, quale quello che si prospetta in questo secolo, sarà inevitabilmente associato ad una accumulazione del capitale (si ricorda che il tasso di crescita globale è dato dal tasso di crescita economica sommato a quello della crescita demografica). Questo, associato al fatto che l’inevitabile e sensibile aumento del debito pubblico (derivato in larga parte dall’aumento crescente delle spese per sanità ed istruzione) conduce ad un aumento dei capitali privati  – non solo per la conseguente privatizzazione di gran parte del patrimonio nazionale, ma anche per gli elevati interessi pagati sul debito stesso – forma la struttura capitalista di questo secolo.

Infatti, dopo un periodo in cui l’accumulazione di capitale (misurata come percentuale di ricchezza nelle mani dei diversi decili o centili di popolazione) è nettamente diminuita in Europa – dapprima per le distruzioni delle due guerre mondiali, dappoi per gli anni di ristrutturazione socio-economica largamente basata su politiche di welfare –la diseguaglianza economica sta ora crescendo di nuovo. Accanto ai motivi considerati sopra, la causa di questa tendenza, secondo la ricca documentazione di Piketty, è senza dubbio l’accrescere del capitale mobile, che si estrinseca, in larga parte, sotto forma di stipendi e bonus di manager e banchieri.

Una volta definita la strutturata capitalista del XXI secolo, emerge chiaramente come un primo punto sottovalutato da Piketty sia il fatto che oggi il denaro è creato dal nulla1. In realtà infatti, a seguito della creazione ex nihilo di questo denaro, i banchieri ne assegnano a se stessi una quota assolutamente rilevante. Pertanto, la quota di capitale posseduta dall’1% più ricco della popolazione è oggi non solo in larga parte finanziaria, ma anche in forte aumento.

In sostanza, considerati nel complesso questi fattori, il risultato è che la diseguaglianza economica sarà in forte aumento nel XXI secolo. Il decile, ed in particolare il centile, superiore della popolazione vedrà crescere la proporzione di capitale detenuta, avviandosi a raggiungere i livelli estremi di diseguaglianza delle società europee di inizio XX secolo (negli Stati Uniti oggi il decile superiore della popolazione detiene il 70% del patrimonio totale).

Detto questo, si giunge alla questione politica. È veramente pensabile, come fa Piketty, che a fronte di un aumento delle disuguaglianze la società possa reagire con una rivoluzione (“se il decile superiore si appropriasse, per esempio, del 90% delle risorse prodotte ogni anno […] è assai probabile che una rivoluzione metterebbe prontamente fine a una tale situazione”2)? Il fatto è estremamente improbabile, dato che nonostante una diminuzione della quota percentuale di ricchezza detenuta dal 90% meno ricco della popolazione, la loro ricchezza netta potrà essere in realtà aumentata. È praticamente quello che sta avvenendo in Paesi come la Cina e la Russia, ed in parte negli stessi Stati Uniti: nei primi, nonostante un’accumulazione spropositata di capitale da parte di pochi oligarchi, la popolazione ha visto nettamente crescere gli standard di vita. Negli USA ciò è avvenuto negli ultimi decenni proprio per il fatto che grazie all’aumento della massa totale di denaro, la quota disponibile per il resto della popolazione è aumentata (salvo poi sgonfiarsi con lo scoppia della bolla finanziaria).

Il problema dell’1% più ricco (l’élite) è quindi ben più profondo di quanto Piketty ed altri economisti (Stiglitz, Krugman etc.) prospettino. In altri termini, se scomponessimo l’1% più ricco non solo di ogni nazione, ma anche di ogni città e finanche di ogni piccola frazione del più piccolo comune, si scoprirebbe un fil rouge che collega ogni centro di potere. Ne deriva, inevitabilmente, un reticolo sociale su cui solidamente si struttura la politica stessa. È ciò da cui mettevano in guardia Adorno ed Horkheimer nella loro critica alla società capitalista: sono loro infatti a citare il marchese de Sade, quando afferma, nel romanzo “Juliette”, che “non può esservi altro equilibrio della  giustizia [del governo]che quello dei suoi interessi o delle sue passioni, uniti solo agli interessi ed alle passioni di quelli che hanno ottenuto da lui tanto potere quanto è necessario per moltiplicare il suo”3.

In definitiva, grosso errore politico è stato quello di considerare separato l’1% più ricco di una nazione rispetto all’1% che si riproduce in ogni contesto locale: è in pratica grazie all’appoggio di questo 1% locale, che non vuole perdere il proprio status, che l’1% nazionale o globale può moltiplicare all’infinito il proprio potere, creando una struttura reticolare difficilmente ribaltabile. In questa prospettiva risulta estremamente evidente come movimenti quali “We are 99%” siano in realtà illusori: la percentuale di chi vuole rovesciare il sistema, che pur conduce a disuguaglianze sempre più eclatanti coinvolgendo quegli stessi che lo sorreggono, è in verità molto più esigua. Rovesciare il sistema è sconveniente quasi per tutti. È proprio la lezione di Piketty ad insegnare che solo le due guerre mondiali hanno frenato l’accumulazione di capitale, e di conseguenza di potere politico (oggi ormai si direbbe “un dollaro un voto”4), da parte dell’1%. Non a caso, per Adorno ed Horkheimer, “l’economia mercantile scatenata era insieme la figura attuale della ragione e la forza che aveva dato scacco alla ragione”5.

                                                                                       Raffaele Vanacore

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1 Si ricorda la lezione di Luciano Gallino: “tanto le banche private quanto le banche centrali fabbricano o creano denaro concedendo crediti che sono privi di fatto, per quanto le riguarda, di un adeguato collaterale” (L. Gallino – Finanzcapitalismo, Come le banche hanno creato il denato dal nulla, pag. 174).

2 Thomas Piketty – Il Capitale nel XXI secolo, pag. 401

3 M. Horkheimer e T. W. Adorno – Dialettica dell’Illuminismo, pag. 95

4 Si veda la lettera shock inviata da Tom Perkins al Wall Street Journal

5 M. Horkheimer e T. W. Adorno – Dialettica dell’Illuminismo, pag. 96

Marcuse, i movimenti studenteschi e la società totalitaria di Raffaele Vanacore

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Sono gli eventi della prima guerra mondiale (a cui lui stesso partecipò), della repressione nel sangue della sollevazione spartachista (con l’uccisione di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht) e dell’avvento del nazismo (era lui stesso ebreo) a condurre Marcuse allo studio della società e della politica. Era infatti possibile una società diversa, che non si basasse sulla guerra, sulla repressione e sulla persecuzione? A questa domanda Marcuse cerca di rispondere, nel 1955 con il suo primo capolavoro, “Eros e civiltà”: partendo dal presupposto che “l’epoca tende al totalitarismo anche dove non ha prodotto stati totalitari” e che “se l’individuo non ha né la capacità né la possibilità di vivere per se stesso, i termini della psicologia diventano i termini delle forze della società che determinano la psiche”, considerando dunque la società capitalista come totalitaria (già Erich Fromm aveva considerato il conformismo democratico come l’altra faccia, opposta ma speculare dunque alla…

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Nuovi orizzonti artistici e politici

Danae è un blog nato dall’esigenza, artistica e politica, di partecipazione e di condivisione, in altre parole di creazione sociale. E’ per rispondere a questa domanda, nata dal basso, che ci apriamo a nuovi metodi di sperimentazione artistica e politica. In particolare, riteniamo che l’arte monostatica vada superata, a favore di un’arte multiprogettuale, e per questo multidimensionale, secondo una moderna  interpretazione del concetto wagneriano di arte totale. E’ per questo che lavoriamo a nuove forme di pubblicazione multimediali.

Riguardo, invece, la partecipazione, e quindi la progettazione, politica, crediamo che i partiti siano solo un residuo anacronistico del secolo scorso. I partiti sono finiti. Il terzo millennio si propone, infatti, di rendere più concrete le esperienze di partecipazione politica tramite movimenti sociali, i quali, in un mondo post-ideologico e post-partitico, e per questo più libero, operano unicamente per giustizia ed equità sociale. Ci proponiamo, pertanto, la creazione di una rete sociale, che metta insieme le esigenze dei cittadini e contribuisca, tramite la ricerca sociale, l’informazione libera e l’attuazione di proposte civili, a superare l’attuale crisi economico-culturale.

Per questi motivi, speriamo nell’aiuto e nella collaborazione di chiunque creda in queste nuove forme di arte e di politica!

Per ulteriori informazioni visitate il blog!

Raffaele Vanacore

 
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MARCUSE: IL PENSIERO NEGATO, LA SOCIETA’ E LA VERITA’ COME NEGAZIONE di Raffaele Vanacore


Dopo aver pubblicato “Eros e civiltà” la ricerca sociale di Marcuse continua – in quanto “teoria critica della società contemporanea” – e si articola nel suo secondo capolavoro “L’uomo ad una dimensione”. Partendo dal presupposto che “l’unione di una produttività crescente e di una crescente capacità di distruzione; la politica condotta sull’orlo dell’annientamento; la resa del pensiero, della speranza, della paura alle decisioni delle potenze in atto; il perdurare della povertà in presenza di una ricchezza senza precedenti, costituiscono la più imparziale della accuse, anche se non sono la raison d’étre di questa società ma solamente il suo sottoprodotto: la sua razionalità travolgente, motore di efficienza e di sviluppo, è essa stessa irrazionale”, Marcuse rivela come il massimo grado di sviluppo della società si manifesta come massimo grado di dominio sulla natura, sull’uomo e sul mondo. In tal senso e contesto, la natura unidimensionale del dominio mira ad eliminare la multidimensionalità cosmica, passando da una logica dialettica – socratica ed ancora platonica – ad una logia formale – aristotelica.

Oggi, pur essendoci le condizioni materiali per la liberazione degli oppressi e degli emarginati, a livello individuale e mondiale, prevalgono le forze del dominio che sfruttano l’estremo sviluppo tecnologico per piegare individui, regioni, Stati, sottosviluppati al potere unipolare, e per questo unidimensionale. L’analisi di Marcuse, ormai di 50 anni fa, è stata estremamente previdente: da un mondo multipolare, si è passati dapprima ad un mondo bipolare ed, infine, ad un mondo unipolare. La logica dell’unico polo è unidimensionale: le culture e le idee – insomma gli individui – non conformi vanno eliminati, anche al costo della più cruenta ed inutile delle guerre. L’unidimensionalità economica, ossia l’economia – il “mercato” – come unica dimensione mondiale, ha aperto le porte alle guerre, economiche, e per questo ideologiche, che hanno piegato Paesi innocenti alla logica del dominio.

Tuttavia, il punto su cui ci vogliamo focalizzare riguarda la modalità con cui il dominio giustifica se stesso ed interiorizza le sue necessità a livello psicologico. Da un lato, infatti, “Eros e Logos rompono la presa della realtà stabilita, contingente, e lottano per una verità incompatibile con essa”; dall’altro “tutta l’esistenza che si spende per procurarsi le cose necessarie all’esistenza è un’esistenza inautentica, non libera”. Pertanto, l’obiettivo del dominio, ossia il perpetuarsi di se stesso, si basa sul freno di Eros e Logos e sull’aumento del tempo necessario per procurarsi le cose necessarie all’esistenza. Ed a questo punto entra in gioco un fattore chiave per la Scuola di Francoforte in generale: se per Heidegger, mastro di Marcuse, “l’esserci, l’essere umano, compreso nella sua estrema possibilità d’essere, è il tempo stesso”, ecco che il tempo, nella concezione francofortese, si articola in due piani: il tempo libero, ossia il tempo in cui dovrebbero svilupparsi Eros e Logos, ed il tempo lavorativo, ossia il tempo in cui la logica del dominio manifesta se stessa. Tuttavia, secondo Marcuse “la società è ancor sempre organizzata in modo tale che procurare la necessità della vita costituisce l’occupazione a tempo pieno, per tutta la vita, di classi sociali specifiche, a cui non è per tale motivo concesso di essere libere e di condurre un’esistenza umana”. A questo punto, risulta evidente come, dato che l’essere umano è il tempo stesso, gran parte degli esseri umani esprimono ontologicamente, piuttosto che se stessi, il dominio.

Ma perché il dominio vuole esprimersi ontologicamente, ossia temporalmente? C’è un motivo che travalica la logica stessa del dominio? Certo. Ed è semplice: Eros e Logos hanno il fine ultimo di ricercare la verità. Ed è la verità stessa ad essere – in  potenza – in opposizione alla logica formale ed unidimensionale in atto: essa, infatti, “è la razionalità a due dimensioni”. Inoltre, “la sua realizzazione implica il rovesciamento dell’ordine stabilito, poiché pensare in accordo con la verità significa impegnarsi ad esistere in accordo con la verità”. In pratica, la logica del dominio vigente, nel tentativo di oscurare la verità per contrastare i tentativi di rovesciamento in atto, blocca Eros e Logos, eliminando così le fonti della verità. E lo fa attraverso, da un lato, l’aumento del tempo necessario alla soddisfazione dei beni primari stessi dell’uomo (disoccupazione, bassi salari, etc.); dall’altro, crea nuovi bisogni, finalizzati soltanto ad aumentare il tempo speso dall’uomo per soddisfare questi bisogni e quindi a diminuire il tempo per la ricerca della verità; infine, la logica unidimensionale cerca di impossessarsi anche del tempo libero in senso stretto, creando un’industria culturale, finalizzata appunto al controllo del tempo libero, che ora libero non risulta più: per Adorno, infatti, “l’industria culturale procede ad organizzare il divertimento in forma sempre più perfetta, e con questo lo aliena a sé stesso”.

Ma come si realizza “la verità nelle parole e negli atti dell’uomo”? Anche in questo caso Marcuse è chiaro: “dato che tale progetto implica l’uomo come animale sociale, il movimento del pensiero ha un contenuto politico”. In tal caso, il concetto di “Politica” va inteso nel suo senso più ampio – e da noi ribadito più volte – di lotta per il bene comune. Tale lotta va iniziata da un lato con un grande sforzo informativo, al fine di far conoscere il reale sistema di controllo, esteriore ed interiore, del sistema di dominio sulla psiche individuale e “collettiva”; dall’altro, con grandi riforme sociali, che consentano all’uomo di esprimersi pienamente in senso temporale, ossia – dato che la sua essenza è il tempo – di liberare l’Eros ed il Logos, affinché essi vadano alla ricerca della verità, e quindi della libertà.

 
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Marcuse, i movimenti studenteschi e la società totalitaria di Raffaele Vanacore

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Sono gli eventi della prima guerra mondiale (a cui lui stesso partecipò), della repressione nel sangue della sollevazione spartachista (con l’uccisione di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht) e dell’avvento del nazismo (era lui stesso ebreo) a condurre Marcuse allo studio della società e della politica. Era infatti possibile una società diversa, che non si basasse sulla guerra, sulla repressione e sulla persecuzione? A questa domanda Marcuse cerca di rispondere, nel 1955 con il suo primo capolavoro, “Eros e civiltà”: partendo dal presupposto che “l’epoca tende al totalitarismo anche dove non ha prodotto stati totalitari” e che “se l’individuo non ha né la capacità né la possibilità di vivere per se stesso, i termini della psicologia diventano i termini delle forze della società che determinano la psiche”, considerando dunque la società capitalista come totalitaria (già Erich Fromm aveva considerato il conformismo democratico come l’altra faccia, opposta ma speculare dunque alla dittatura, del totalitarismo ) e la stragrande maggioranza degli individui incapaci od impossibilitati a vivere per se stessi, risulta che la società totalitaria domina la psiche dell’individuo. I movimenti nati proprio negli anni ’60, studenteschi, operai e per i diritti civili, nacquero proprio per raggiungere questi obiettivi: la fine di una società tendente al totalitarismo e lo sviluppo delle capacità e delle possibilità dell’individuo di vivere per se stesso (con forti rivendicazioni politiche: diminuzione dell’orario di lavoro, aumento dei salari, istruzione per tutti, etc.). E Marcuse appoggiò incondizionatamente i movimenti, al punto tale da ripubblicare “Eros e civiltà” nel 1966 ed aggiungere una “Prefazione politica”, che termina così: “ il rifiuto degli intellettuali di collaborare può trovare appoggio in un altro catalizzatore: il rifiuto istintuale dei giovani in protesta. Sono le loro vite che sono in giuoco, e se non le loro vite certo la loro salute mentale e la loro possibilità di essere completamente uomini. La loro protesta continuerà, perché è una necessità biologica. […] Oggi la lotta per la vita, la lotta per l’Eros, è la lotta politica”.

Tuttavia, alle proteste crescenti in tutto il mondo ben presto iniziò a reagire il potere che voleva non solo il mantenimento dello status quo, ma anzi un inasprimento del controllo politico e sociale. È infatti nel 1971 che Powell, giudice della Corte Suprema degli USA, invia un memoradum (il Powell Memorandum, appunto), a Syndor jr., presidente della commissione per l’educazione della Camera di Commercio statunitense. Secondo Powell “le più inquietanti voci che si uniscono al coro dei critici sono giunte da parte di elementi della società assolutamente rispettabili: dai campus dei College, dai pulpiti delle chiese, dai media, da riviste intellettuali e ricercate, dalle arti, dalle scienze e dai politici”. In altre parole, queste inquietanti voci erano quelle a cui Marcuse aveva dato senso ed unità. Inoltre, “non si tratta di attacchi sporadici o isolati di relativamente pochi estremisti o anche della minoranza dei quadri socialisti. Piuttosto l’assalto al sistema di impresa è ampio e perseguito con coerenza. Sta guadagnando slancio e converte”. Quindi nel 1971 i movimenti sembravano esser sul punto di rovesciare il sistema capitalistico e di sostituirlo con un sistema più aperto e libero, forse proprio con quel sistema, quella società meno tendente al totalitarismo, che Marcuse auspicava. Ed infatti, Powell cita proprio Marcuse come principale leader intellettuale dei movimenti studenteschi: “anche se le origini, le fonti e le cause sono complesse ed interdipendenti, e ovviamente difficili da identificare senza una attenta qualifica, c’è ragione di credere che il campus sia la fonte singola più dinamica. Le facoltà di scienze sociali solitamente includono membri che sono insensibili al sistema imprenditoriale. Essi possono variare da Herbert Marcuse, marxista membro della Università della Californiaa San Diego e convinto socialista, all’ambivalente critico liberale che trova molto di più da condannare cheda lodare”.

Peraltro, “poiché questi giovani brillanti, dai campus di tutto il paese, cercano opportunità per cambiare un sistema del quale gli è stato insegnato di diffidare, se non proprio di disprezzare, essi cercano impiego nei centri di reale potere ed influenza nel nostro paese”. Di conseguenza, “una delle priorità delle operazioni del business, e delle organizzazioni come la Camera, è di affrontare l’origine nel campus di questa ostilità”. Powell parla pertanto, espressamente, di un attacco alla libertà accademica. Il Memorandum prosegue poi con “consigli” da adoperare, oltre che nei campus, nelle scuole secondarie, nei media etc. al fine, dunque, di impedire il cambiamento del sistema dal basso (bottom-up) e di favorire un controllo dall’alto (top-down). Secondo Luciano Gallino, Powell “ oggi sarebbe deliziato nel vedere come le sue proposte siano state applicate con successo, oltre che negli USA, in tutta l’UE. […] Nel volgere di alcuni decenni, infatti, le dettagliate proposte del Powell Memorandum sono state messe in pratica negli USA ed in Europa, facendo registrare uno straordinario successo”. Il risultato è un controllo pressoché totale da parte delle “imprese, ossia dei gruppi e dei soggetti economicamente al vertice della società (l’1% di Stiglitz..), sugli individui.

E qui ritorniamo al punto di partenza: come ha fatto “il sistema delle industrie” ha riprendersi saldamente il controllo? Proprio come detto all’inizio “se l’individuo non ha né la capacità né la possibilità di vivere per se stesso, i termini della psicologia diventano i termini delle forze della società che determinano la psiche”. Quindi, si è fatto in modo che, tramite l’attuazione di misure economicamente svantaggiose per studenti, lavoratori e cittadini in generale, nonché tramite il declassamento delle facoltà di scienze sociali, l’individuo perdesse in larga parte le capacità e le possibilità di una vita autonoma: in tal modo è la società dominante, ossia “il sistema delle industrie”, a dominare la psiche degli individui. Il premio Nobel Joseph E. Stiglitz ha analizzato (“Il prezzo della disuglianza”) proprio come il sistema politico ha trasformato la società negli ultimi decenni: secondo il premio Nobel per l’economia, infatti, “il nostro sistema politico ha lavorato via via in modo da incrementare sempre più la disuguaglianza dei risultati e ridurre l’eguaglianza delle opportunità”. Nel libro di Stiglitz e nelle analisi del sociologo Luciano Gallino (a cui si rimanda), si possono trovare, dunque, tutti i dati che testimoniano questo processo di redistribuzione bottom-up della ricchezza, il quale ha condotto, infine, allo svuotamento della classe media ed all’aumento della povertà. Come detto, una classe media svuotata ed una classe povera sempre più povera non hanno una possibilità di vita autonoma e risultano schiacciate dalla società dominante. Come uscire, dunque, da questa spirale e ritornare al fervore ed ai movimenti degli anni ’60, a quel passo dal cambiamento della società? Per Marcuse, e per noi, il mezzo principale di “liberazione delle tendenze istintuali alla pace ed alla serenità, all’appagamento dell’Eros, asociale ed autonomo” è la lotta politica. Questa non va, però, intesa come lotta per il potere o come vita di partito (i partiti fanno ben altro che Politica!), bensì come Politica nel suo senso più ampio, e classicamente aristotelico, di “garanzia di una giustizia pensata come uguaglianza giuridica e politica dei cittadini al fine del bene comune”.

A fondamento di questa lotta per il bene comune vi sono l’informazione e lo studio delle scienze sociali in generale: solo se correttamente – e liberamente – informati ed istruiti gli individui possono riprendersi la loro libertà. Quindi, l’opera di informazione, nelle università, come nelle scuole superiori e nel mondo dei lavoratori, intrapresa da soggetti liberi ed autonomi, dovrebbe porsi come base di questa lotta politica, che riporti la società ad un passo dalla libertà: come direbbe Marcuse, “libertà politica significherebbe liberazione degli individui da una politica su cui essi non hanno alcun controllo effettivo. Del pari, libertà individuale equivarrebbe alla restaurazione del pensiero individuale, ora assorbito dalla comunicazione e dall’indottrinamento di massa”.

 
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Danae

Secondo la mitologia greca (Iginio Astronomo, Fabulae, 63), “a Danae, figlia di Acrisio e Aganippe, era stato predetto che il figlio da lei partorito avrebbe ucciso Acrisio; allora il padre, temendo che la profezia si avverasse, la rinchiuse in una prigione dai muri di pietra. Ma Giove, mutatosi in una pioggia d’oro, giacque con Danae; da quell’amplesso nacque Perseo.”

Perseo, in seguito, pur se involontariamente, uccise il nonno e prese possesso del regno di Argo.

Nel corso dei secoli, la figura di Danae ha assunto un significato emblematico: è divenuta il simbolo di una sessualità, in altre parole di una fertilità o di una potenzialità, negata; potenzialità che, tuttavia, trova il suo riscatto, ed il suo appagamento, in un mondo onirico. È nel sonno, infatti, che Danae raggiunge la massima espressività di se stessa, ossia la maternità.danae

Nel mondo odierno, che nega l’espressione individuale in senso lato, negando non solo l’espressione della sessualità in toto, ma anche – e soprattutto – dell’intelletto (l’immaginazione, liberata dalle catene, al potere..?), l’individuo si trova rinchiuso in una prigione da muri di pietra, eretti non solo dalla società, ma dalla sua stesse psiche. In queste condizioni la libertà e l’espressività di se stesso gli sfuggono. Ed il mondo onirico, ossia quello fecondo, è sede della realtà interiore.

Quindi, il riferimento a Danae, il riconoscere la sua potenzialità incatenata, ma riscattata in un mondo onirico, mitologico e libero, si pone come base di un riscatto dell’Eros, inteso in senso marcusiano come forza sociale  che “spinge il progresso verso la libertà e la soddisfazione universale dei bisogni umani”.

Infatti, per Marcuse – come per Klimt – la liberazione di Danae, e quindi dell’Eros, va ben oltre la semplice liberazione degli istinti sessuali: essa, infatti, si pone come emancipazione della società dallo stato di bisogno.

Ma quando realizzare questa liberazione? Su questo punto Marcuse è chiaro: “se la liberazione dagli istinti dovesse aver luogo al livello più alto della civiltà, e come conseguenza non di una disfatta, ma di una vittoria nella lotta per l’esistenza, e se fosse sostenuta da una società libera, questa liberazione potrebbe avere risultati molto differenti. Sarebbe sempre un rovesciamento del processo di civilizzazione, un sovvertimento della cultura – ma dopo che la cultura ha terminato la sua opera e creato un umanità ed un mondo atti ad esser liberi. […] La possibilità di una civiltà non repressiva è condizionata non da un arresto, ma da uno sviluppo del progresso” (Eros e civiltà).

In altri termini, secondo Marcuse, una civiltà non repressiva si può sviluppare solo al termine dello sviluppo della civiltà, ossia quando il mondo sia così evoluto da esser potenzialmente in grado di liberare ogni individuo dal bisogno (in “L’uomo ad una dimensione” la battaglia sarà ampliata agli Stati in via di sviluppo).

Come Danae viene soddisfatta dei suoi bisogni, ossia del suo femminile e materno Eros, così la civiltà va soddisfatta delle sue necessità e resa libera, ossia occorre costruire “una civiltà non repressiva, basata su di un’esperienza dell’essere fondamentalmente diversa, su un rapporto fondamentalmente diverso tra uomo e natura, e su relazioni esistenziali fondamentalmente diverse” (Marcuse – Eros e civiltà).

Ma come “rovesciare la morale civile” e creare un “nuovo principio della realtà”? Ecco che viene a spiegarsi il perché di questo progetto, goccia d’acqua in un mare infinito..

Nel 1932 (all’alba del nazismo, è forse un caso?) Horkheimer, direttore dal 1931 dell’Istituto di Ricerca Sociale di Francoforte, tra i massimi esponenti, dunque, della Scuola di Francoforte insieme allo stesso Marcuse e ad Adrono, dà vita alla “Rivista per la ricerca sociale”. Secondo Horkheimer, la ricerca sociale è “la teoria della società come un tutto”: la ricerca sociale, quindi, non si limita a settori specialistici e settoriali di determinate discipline, ma si occupa del tutto, ossia delle relazioni che legano aspetti storici ed economici, psicologici e culturali, della società. Il teorico critico (ossia il critico della società) è “quel teorico la cui unica preoccupazione consiste in uno sviluppo che conduca ad una società senza sfruttamento”.

Quindi, il nostro progetto è quello di studiare l’arte, la scienza, la sociologia, la letteratura, la psicologia, per cercare la totalità, dell’individuo e della società, e creare le basi per un mondo diverso, in cui il soddisfacimento dei bisogni e la liberazione dell’Eros siano possibili.

Un grande esempio di feconda relazione tra scienza ed arte è stata l’ultima Vienna asburgica, ossia quella a cavallo del XIX e del XX secolo, una Vienna in cui l’influenza di Rokitansky si mescolava a quella di Klimt, quella di Schiele a quella di Freud, quella di Schintzler a quella di Mahler..

Eric Kandel, premio Nobel per i suoi studi sulla memoria, ma anche grande appassionato di arte, ha magistralmente messo in evidenza – nel suo “L’età dell’inconscio. Arte, mente e cervello dalla grande Vienna ai nostri giorni” – questo contatto tra arte e scienza nella Vienna asburgica: secondo il neuroscienzato, infatti, “la Vienna del periodo dischiuse nuove prospettive nella medicina, nell’arte, nell’architettura, nella critica artistica, nella progettazione, nella filosofia, nell’economia e nella musica. Aprì un dialogo tra le scienze biologiche e la psicologia, la letteratura, la musica e l’arte, ed iniziò così un’integrazione della conoscenza che continua ancora ai nostri giorni”.

E Klimt, uno dei più grandi “integratori della conoscenza”, aveva ben presente “l’incessante finire e divenire della vita” (Berta Zuckerkandl) se nella sua Danae raffigura, in ordine cronologico, a destra gocce dorate (lo sperma di Zeus) ed un simbolo fallico, al centro Danae – nella quale dunque l’espressione appagata, soddisfatta, sarebbe dovuta al piacere orgasmico –  ed a sinistra piccoli embrioni.

Dunque, le gocce dorate simboleggiano la conoscenza e l’azione atte a soddisfare l’individuo ed a creare una società senza sfruttamento, Danae rappresenta il raggiungimento del soddisfacimento e gli embrioni sono il fecondo risultato di una società libera e soddisfatta

Infine, non è un caso che Scutenaire cita Danae nella sua poesia “Tu Danae, Io Zeus”:

 

Dove sono le ragazze forti che amavano tori
E dove le delicate in estasi sotto una nube
O le artiste che si dannarono per un cigno?

Stanno nelle vostre febbri stanno nelle vostre braccia
Stanno nei vostri letti stanno nei vostri libri
E siete le loro bestie e i loro spettri di bruma.

 
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