“L’uomo si occupa troppo di ciò che ha, e, troppo poco di ciò che è…”.
Tali parole furono pronunciate, a dir di Platone, da Socrate nella parte finale della Apologia, ovvero l’ultimo discorso prima che il filosofo venisse allontanato dal Tribunale. Socrate, libero pensatore per eccellenza, riteneva, infatti, che l’uomo non dovesse preoccuparsi in prevalenza del suo corpo, di ciò che possedeva e, del suo potere, ma soprattutto, della sua anima. Platone gli fa dire espressamente che ciò che nella sua vita ha cercato di fare è convincere tutti coloro con cui parlava ad impegnarsi nel rendere l’anima la migliore possibile sostenendo che “ la virtù non nasce dalle ricchezze, ma che dalla virtù nascono tutte le ricchezze e tutti i beni degli uomini…”.
L’ attuale epoca ripropone, in termini amplificati, l’antico dilemma dell’avere o dell’essere ed invero ,oggi, si è soliti rapportarsi al mondo circostante non tanto, come sosteneva Socrate, per ciò che si è , bensì per ciò che si ha. L’avere, in termini di acquisti e, dunque, di possedere qualcosa, o addirittura, qualunque cosa di nuovo, è strettamente connesso all’apparire; difatti in una realtà sempre più priva di valori forti, di ideologie e tendenzialmente volta al pedissequo ossequio delle mode del momento, una persona è in quanto ha in tasca il più nuovo I-Phone, indossa il giubbotto di tale logo o, con disinvoltura, esibisce occhiali “all’ultimo grido” che di pratico e di essenziale non hanno alcunché.
L’imperativo di oggi è, dunque, consumare ed, oramai, il consumo fine a se stesso appare ,nella piramide economica dei bisogni, al primo posto e sembra superata la distinzione fra bisogni primari e secondari o fra bisogni dei giovani e degli adulti: i ventenni sperimentano ed i loro genitori, eterni giovani, scelgono.
Proprio questa febbre del lusso e la tendenza all’iper-consumo, ovvero ad acquistare più di quanto sia necessario, è diventata una patologia come ha denunciato l’economista Robert Frank.
Secondo la sua tesi il consumo è una necessità, una forma imprescindibile per la realizzazione individuale. Simboleggia una rincorsa verso il materialismo, una competizione fra esseri umani, il cui vincitore sarà colui che per pochi attimi si sentirà più consumatore degli altri ed avrà eccelso nel suo “particolare”, riprendendo Guicciardini.
Non sembra esista un rimedio al desiderio “ compulsivo” di consumo che finisce per danneggiare più che sostenere l’economia nazionale ed internazionale. Esempio sono i progetti di “austerity” o i programmi di salvaguardia delle risorse contro i continui sprechi quali la estenuante ricerca di un modello di sviluppo economico sostenibile che coniughi gli aspetti economici con quelli sociali ed ambientali.
L’economista Solow in uno dei suoi saggi, con riferimento all’eccessivo consumismo, sottolinea appunto la necessità che ogni generazione dovrebbe lasciare alla successiva tutto ciò che può servire ad avere una qualità della vita almeno pari alla propria. Eppure le famiglie medie continuano a consumare, nonostante la crisi, optando per l’acquisto di un nuovi I-Pad, dopo aver risparmiato con difficoltà, anziché pagare, con gli stessi risparmi, più velocemente il mutuo sulla casa.
Questi comportamenti appaiono eticamente “spregiudicati” e rispecchiano quella mancanza di moderazione, di temperanza o meglio ancora della latina frugalitas .Ad essa ,anche, Epicuro sembra avvicinarsi quando afferma che per raggiungere l’” atarassia”- la felicità greca- occorreva disporsi con moderazione nei confronti della vita. Proprio l’agire secondo tale virtù, come evidenziato da Bauman, viene considerato “difettoso” dal sistema consumistico: “ difettosi” sono coloro i quali si limitano ad acquistare ciò di cui hanno bisogno e non superano la linea oltre la quale vi è il fantasma dello spreco, della attitudine a comprare senza equilibrio, del consumismo.
Da ciò consegue, nell’animo di questi uomini, un sentimento di timore poiché, nel tempo, si presenta in essi la paura della esclusione sociale o dell’ostracismo. La loro diversità è, però, positiva in quanto essi vivono secondo i canoni dell’essere e non dell’apparire e, dunque, simboleggiano una morale idillica ed ideale nonché la liberazione dalla “ pressione” di essere qualcun altro. Il consumismo, nella sua estremizzazione attuale di iperconsumismo, ha abbandonato le antiche vesti del boom economico degli anni “ 50 e “ 60 che gli diedero il merito di trainare lo sviluppo economico di quegli anni, per indossare abiti che non lo qualificano più come tale. Ed invero, al di là dei suoi influssi negativi sull’etica comportamentale, il suo spazio d’azione, come accennato in precedenza, colpisce anche zone e luoghi in cui vive l’umanità. Le grandi metropoli con le loro strade tappezzate di pubblicità ,lo smog in cui sono immerse, l’inquinamento acustico ed elettromagnetico che le sovrasta così come l’emergenza rifiuti rappresentano l’altro lato oscuro dell’iperconsumismo. Negli ultimi anni gli stili di vita e di consumo hanno subito un cambiamento tale da incidere fortemente anche sull’equilibrio della biosfera: l’aumento vertiginoso delle merci e dei consumi ha avuto come ulteriore conseguenza un corrispondente aumento dei rifiuti ,anche tecnologici, al punto che una delle ulteriori questioni urgenti è quella del loro smaltimento. Consumare è, dunque, una necessità di tutti e tutti acquistano per realizzare se stessi. Il pericolo del cammino tracciato fin qui è evidente: il dio consumo ed il dio denaro giustificano comportamenti irresponsabili che hanno causato e tuttora causano conseguenze talvolta anche di portata mondiale. Basta ricordare la crisi economica del 2008: ancora oggi gli Stati subiscono le conseguenze negative di una recessione causata dalla concessione di crediti al consumo senza adeguate garanzie. Il consumo sfrenato è pericoloso per i cittadini, per lo Stato, per il mondo ovvero per quello stesso “ villaggio globale” che secondo Mc Luhan avrebbe reso tutto alla portata di tutti ma che, in un certo qual modo, oggi, paga le conseguenze di una mancanza di regole. E’ necessario rimodulare i consumi, dare un senso alla spesa quotidiana ed un significato al denaro che consente quell’acquisto ,è opportuno riprendersi la propria vita ed ispirarla a quei valori che sono gli unici ad avere il potere di arricchirla ,così come sosteneva Socrate. Anche l’economia potrebbe averne un ritorno positivo : è vero che la domanda di beni stimola la produzione e genera a sua volta nuova domanda ed ancora nuova produzione e così via ,ma ,è dimostrato che la spinta eccessiva ai consumi può produrre disastri come l’attuale recessione. Mai come adesso, dunque, bisogna ricorrere a ciò che sostenevano gli antichi Romani “ in medio stat virtus”: non è necessario azzerare i consumi ma è opportuno ricalibrarli e soprattutto non annullare la sostanza umana nell’atto del consumo rendendo legittima la pretesa di una migliore qualità della vita e senza infliggere ferite profonde all’ecosistema.
Vittorio Cugnin