Biografia
Ruth Milkman (nata il 18 dicembre 1954) è docente di sociologia presso il CUNY Graduate Center e presso il Joseph F. Murphy Istitute for Worker Education and Labor Studies, del quale è anche Direttore Accademico. Laureatasi nel 1975 presso la Brown University, la Milkman consegue un Master of Arts in sociologia nel 1977 e un dottorato di ricerca in sociologia nel 1981, entrambi presso la University of California a Berkeley. Nel 1981, R. Milkman è nominata assistente, poi professore associato di sociologia presso il Queens College e il CUNY Graduate Center di New York. Nel 1986, insegna storia del lavoro americano presso l’Università di Warwick a Coventry, Regno Unito, professore incaricato presso l’Università di São Paulo in São Paulo, in Brasile nel 1990, visiting research scholar presso Macquarie University di Sydney, in Australia nel 1991, e visiting research associate presso il Centre National de la Recherche Scientifique di Parigi nel 1993. Ha ottenuto un incarico come professore associato alla UCLA nel 1988, dove è ora docente ordinario di sociologia. È stata nominata direttore dell’UCLA Institute of Industrial Relations nel 2001. Dal 2001 al 2004, la Milkman è stata anche direttrice dell’UC Institute for Labor and Employment.
Abstract
Le opere della Milkman si incentrano prevalentemente sulla Sociologia del Lavoro, con uno spiccato interesse per il movimento operaio americano e per la storia del lavoro. L’autrice dedica numerose pubblicazioni all’analisi delle condizioni dei lavoratori a basso salario e delle donne lavoratrici, contestualizzando le diverse opere nel quadro teorico del socialismo. Pubblicato nel 2006, L. A. Story rappresenta un caso di studio di quattro “campagne di sindacalizzazione” (organizing campaigns[1]) di Los Angeles in California, mediante il quale l’autrice perviene ad alcune notevoli conclusioni. In primo luogo, la Milkman sostiene che l’emergere di sindacati relativamente innovativi, come il Service Employees International Union (SEIU), Unit Here ed United Food and Commercial Workers, sia di notevole importanza così come la creazione del Congresso delle Organizzazioni Industriali (Congress of Industrial Organizations) nel 1935.
In secondo luogo, l’analisi delle quattro “campagne di sindacalizzazione” di Los Angeles induce la Milkman a sostenere la tesi della maggiore efficacia della strategia organizzativa propria del modello top-down. Infine, l’autrice afferma che il principale fattore determinante il fallimento delle campagne di sindacalizzazione è costituito dalla mancanza di risorse (economiche ed umane) piuttosto che dall’opposizione del datore di lavoro, da fattori giuridici o dal mancato utilizzo di buone tattiche organizzative.
L. A. Story ha suscitato un dibattito nell’ambito della comunità accademica e del movimento sindacale, in relazione a due aspetti specifici. In primo luogo, le conclusioni cui l’autrice perviene, in materia di impostazione delle campagne di sindacalizzazione secondo le caratteristiche proprie del modello top-down, si ricollegano al filone del new labor history, secondo il quale i lavoratori non dovrebbero essere solo “oggetto di ricerca accademica”, ma in realtà costituirebbero l’aspetto più importante dei movimenti sindacali. In particolare, le conclusioni cui la Milkman giunge, sono assimilabili, in quanto ad ideologia ad esse sottostanti, alla prospettiva istituzionalista ed allo storicismo hegeliano, correnti proprie di alcuni teorici del lavoro, quali Selig Perlman, Philip Taft e John R. Commons. Le scoperte dell’autrice si discostano in misura significativa anche dalle conclusioni di altri studiosi, come Brofenbrenner e Juravich, i quali sostengono che ad una maggiore partecipazione dei lavoratori alle campagne di sindacalizzazione corrisponde un più alto grado di successo del sindacato stesso.
L.A. Story: Immigrant Workers and the Future of the U.S. Labor Movement
La netta diminuzione dell’appartenenza sindacale dei lavoratori attuatasi negli ultimi cinquant’anni ha indotto molti a considerare il lavoro organizzato come irrilevante nell’ambito del mercato del lavoro dell’epoca contemporanea. Nel settore privato, solo una minima parte dei lavoratori risulta essere attualmente iscritta ad un sindacato. Tuttavia, gli sviluppi verificatisi nel sud della California, inclusi i successi ottenuti dal movimento Justice for Janitors, suggeriscono che i report sulla scomparsa del lavoro organizzato potrebbero essere distorti, non rispecchiando la reale situazione. L’autrice spiega come Los Angeles, un tempo nota come città ostile alla società del lavoro, sia diventata un “focolaio di sindacalismo”, e come i lavoratori immigrati siano emersi come leader inverosimili nella battaglia per i diritti dei lavoratori.
L. A. Story infrange molti miti sul lavoro moderno, mediante un’analisi approfondita della situazione dei lavoratori di Los Angeles di quattro settori specifici: manutenzione degli edifici, autotrasporti, costruzioni, abbigliamento. Nonostante molti denuncino la “de-sindacalizzazione” ed il peggioramento delle condizioni lavorative degli immigrati, la Milkman, tuttavia, dimostra che questa credenza convenzionale è totalmente errata. La sua analisi rivela che il peggioramento degli ambienti di lavoro precede l’afflusso di lavoratori stranieri, i quali hanno occupato tali posizioni lavorative solo dopo che i lavoratori autoctoni hanno abbandonato questi posti di lavoro improvvisamente divenuti poco desiderabili.
Inoltre, L. A. Story dimostra che i lavoratori immigrati, ritenuti incapaci di organizzarsi in sindacati da molti dirigenti sindacali, a causa dei limiti imposti dalla lingua e del timore dell’eventuale deportazione, si sono invece rivelati estremamente sensibili agli sforzi organizzativi. Come argomenta la Milkman, questi lavoratori affrontano il lavoro con un’impostazione mentale maggiormente orientata alla collettività, al “gruppo”, rispetto ai lavoratori americani da essi sostituiti. L’affermarsi di tali caratteristiche, proprie dell’apparato lavorativo di Los Angeles, ha reso tale città il fulcro del movimento per i diritti dei lavoratori.
L’autrice delinea un percorso storico del “sindacalismo di massa”, a partire dai primi sviluppi di questo sistema nel contesto degli Stati Uniti, fino alla spiegazione dei motivi del suo declino. I punti cardine in questo processo sono collocabili nella Grande Depressione, nella nascita del sindacalismo industriale di massa e nella tutela giuridica offerta dal National Labor Relations Act.
In particolare, prima della Depressione, negli Stati Uniti, i sindacati lottavano per la sopravvivenza in un contesto legale generalmente ostile, mediante l’utilizzo di un repertorio di tattiche estremamente vario, tra scioperi, boicottaggi e campagne, al fine di ostacolare l’operato dei datori di lavoro ed ottenere aumenti di stipendio. Successivamente, nel periodo della Grande Depressione, è emersa una nuova forma di sindacalismo industriale a partire dal malcontento e dal senso di solidarietà dei lavoratori di settori industriali specifici, frutto dell’esperienza comune di quel difficile momento storico. In seguito, tali sindacati industriali sono stati estesi sia nel periodo della Seconda Guerra Mondiale, in un ambiente caratterizzato dalla volontà da parte del governo di creare un clima sereno e pacifico dal punto di vista sociale, sia nel dopoguerra con la legislazione sul lavoro approvata nel 1930. Il declino di questi sindacati tra il 1980 ed il 1990 riflette le crescenti pressioni competitive prodotte dagli sviluppi della tecnologia, dalle liberalizzazioni, dal commercio estero e, motivo principale nella trattazione della Milkman, il mutamento attuatosi nella legge sul lavoro e, ancor più, il modo in cui la legge è stata applicata ed interpretata, indebolendo sensibilmente la protezione da parte del governo.
Tutti i casi di studio dell’autrice sono tratti dall’insieme di industrie storicamente organizzate sotto i vecchi sindacati AFL, che precedono la Grande Depressione e che ancora oggi sono costituiti da numerose piccole imprese instabili. In queste industrie l’organizzazione del lavoro è sempre esistita, anche al di fuori del guscio protettivo di una legislazione in materia di lavoro. I sindacati hanno mantenuto un’organizzazione industriale sfruttando i legami economici lungo la “catena di fornitura”, per disciplinare i datori di lavoro non ottemperanti, ed i cui dipendenti non avevano potuto reagire direttamente ad eventuali inadempienze: essi hanno imparato a sfruttare questi legami attraverso lo sviluppo di una conoscenza approfondita della struttura propria di quel determinato settore industriale. In tal modo, il Teamsters Union, il sindacato degli autotrasportatori, è stato in grado di organizzarsi nel Sud della California assieme alle imprese del Nord che trasferivano navi cargo al Sud: i lavoratori sindacalizzati del Nord hanno costretto i loro datori di lavoro a boicottare le imprese meridionali che non avevano firmato il contratto sindacale. Analogamente, il Ladies’ Garment Union, il sindacato di dimensioni relativamente grandi delle produttrici tessili, ha minacciato di colpire chi non avesse imposto termini comparabili sui loro subappaltatori.
Nel settore edile, gli artigiani qualificati, e quindi dotati di una propria forza lavoro, hanno boicottato i posti di lavoro nell’ambito dei quali i lavoratori non qualificati, e quindi più deboli, e agli addetti alla manutenzione non si erano riuniti in sindacati. Nelle parole della Milkman, questi sindacati più antichi prosperarono negli anni Novanta, facendo rinascere queste tattiche tradizionali, sia che le abbiano desunte dal passato, sia che le abbiano riscoperte in simili circostanze strutturali.
L’opera della Milkman si focalizza sulla descrizione della militanza sindacale, caratterizzata dalla solidarietà delle comunità di lavoratori immigrati e dalla loro tendenza al sacrificio, al fine di attuare con successo i propri piani strategici in difesa dei propri diritti. I sindacalisti e, in effetti, la maggior parte degli osservatori esterni, hanno sottovalutato questo gruppo di lavoratori, considerando la forza lavoro degli immigrati, da un lato, troppo vulnerabile per potersi organizzare in sindacati in modo efficace, temendo la prospettiva della deportazione; dall’altro, troppo poco impegnata nel mercato del lavoro statunitense per poter richiedere interventi di sindacalizzazione. Inoltre, è pensiero comune che gli immigrati, abituati a vivere in condizioni di miseria economica e di degrado sociale, siano più tolleranti nei riguardi dei salari, spesso irrisori, e delle condizioni di lavoro, palesemente disagevoli, respinte dai lavoratori autoctoni. A tal proposito, l’incremento del fenomeno migratorio è considerato come una delle cause principali del peggioramento delle condizioni lavorative, in termini anche economici. Tuttavia, la Milkman sostiene che, nell’ambito delle industrie dalle quali attinge i suoi casi di studio, gli immigrati non costituiscono la causa della de-sindacalizzazione, ma il risultato. Nel momento in cui si è attivato un processo di indebolimento della struttura portante dei sindacati, e di deterioramento delle condizioni lavorative nelle industrie, i posti di lavoro hanno iniziato a perdere la loro forza d’attrazione per i lavoratori autoctoni, spingendo questi ultimi a spostarsi in settori che avevano mantenuto la propria organizzazione interna (autotrasporti a lungo raggio ed edilizia commerciale), lasciando un vuoto nei settori interessati da tale involuzione in termini di condizioni lavorative generali (autotrasporti locali ed edilizia residenziale), successivamente colmati dai lavoratori immigrati reclutati proprio per riempirli. Nel corso del tempo, questi operai si sono stabiliti in modo permanente nel nuovo contesto industriale, ed il potere derivante dalla forza lavoro degli immigrati è attualmente detenuto da lavoratori con un impegno a lungo termine nel mercato del lavoro degli Stati Uniti e dai loro figli. Le comunità di immigrati, inoltre, si caratterizzano per avere strette reti sociali che facilitano il reclutamento di nuovi membri, da un lato, e forniscono un forte sostegno morale e materiale per scioperi e boicottaggi, dall’altro.
In tale contesto d’analisi delle caratteristiche del lavoro degli immigrati, la Milkman affronta un tema centrale del pensiero contemporaneo sociale americano: la diminuzione del capitale sociale e la crescente anomia nella struttura della società americana. Nell’ideologia dell’autrice, la città di Los Angeles costituisce un esempio emblematico di questi stravolgimenti attuatisi nella società americana: l’impostazione tipica delle comunità di immigrati, in termini di propensione ad un atteggiamento solidale e complice nei riguardi dei propri connazionali, si configura come ulteriore strumento atto ad innescare un processo di rivalutazione e rinnovamento dei sindacati.
In particolare, solo due dei quattro casi analizzati hanno realmente esito positivo, ottenendo risultati rilevanti: la nota organizzazione Justice for Janitors ed i Dry Wall Carpenters. Invece, l’organizzazione degli autotrasportatori locali ed il tentativo di istituire sindacati per alcune industrie specifiche, come inizio di una campagna atta a rilanciare il sindacalismo nel settore dell’abbigliamento, risultano essere entrambi falliti. I numeri relativi alle due compagne di sindacalizzazione di successo sono relativamente piccoli: circa un milione di membri appartenenti ai sindacati di Los Angeles. Questo si configura come il dato più alto mai registrato, nonostante costituisca soltanto il 15% della forza lavoro totale. Il tasso più alto di appartenenza sindacale si registra nel settore pubblico, nella produzione su larga scala, in particolare nell’industria automobilistica e nell’ambito delle compagnie aeree.
La Milkman, pertanto, sostiene che il fenomeno migratorio possa contribuire alla rinascita del movimento operaio, giungendo ad argomentare un problema di non semplice ed immediata risoluzione: nonostante le industrie nelle quali si concentra un numero elevato di lavoratori immigrati siano particolarmente sensibili e vulnerabili rispetto alle tattiche organizzative dei sindacati, e nonostante gli stessi immigrati risultino inclini all’istituzione di movimenti sindacali, tuttavia quasi la metà delle campagne di sindacalizzazione sfociano in esiti negativi. L’autrice cerca di fornire al lettore gli strumenti ed i presupposti metodologici atti ad indirizzarlo verso una spiegazione valida ed efficace del problema.
Attraverso l’analisi dei dati e dei risultati delle ricerche esposte dalla Milkman, è possibile articolare talune congetture configurabili come possibili risposte alla questione del fallimento delle campagne di sindacalizzazione.
In particolare, nell’ambito della maggior parte dei vecchi sindacati AFL, non vengono esplicitate, né concettualizzate, modalità e tecniche di potenziamento e conservazione delle pratiche di pressione economica in un contesto legale ostile. Le due campagne che si sono concluse con successo sono state condotte da sindacati operanti in una forma di giurisdizione tradizionale, sviluppando un’approfondita conoscenza del settore industriale di riferimento, necessaria per incrementare la partecipazione dei lavoratori. Ciò nonostante, la campagna degli autotrasportatori non è stata condotta esclusivamente dalla Teamsters Union, ma anche dagli addetti alla comunicazione, operando in tal modo al di fuori della propria giurisdizione canonica, nell’ambito di in un settore del quale non possedevano una conoscenza specifica.
Questa strategia mista di sindacalismo, che suggerisce l’organizzazione delle linee di settore laddove sembra possibile raccogliere nuovi membri, può rivelarsi un metodo efficace per la sopravvivenza dei movimenti sindacali, nonostante sia complesso valutarne la validità nel lungo periodo. Tale metodologia strategica, qualora dovesse affermarsi come definitiva e predominante, sarà tuttavia distante rispetto alla forma canonica del sindacalismo industriale precedente. L’autrice incentra la sua attenzione proprio sul concetto di organizability (“organizzabilità”) delle comunità immigrate.
Augusto Cocorullo – Università degli Studi di Napoli “Federico II” – Dipartimento di Scienze Sociali – Dottorato di Ricerca in Scienze Sociali e Statistiche – XXIX ciclo
[1] Secondo l’Agricultural Labor Relations Act, i lavoratori agricoli hanno il diritto di eleggere un rappresentante per negoziare, a suo nome, con il proprio datore di lavoro, in materia di salari, ore e condizioni di lavoro. Mediante una votazione a scrutinio segreto, i lavoratori agricoli scelgono se istituire o meno un sindacato che li rappresenti nelle pratiche di contrattazione con il datore di lavoro. La “campagna di sindacalizzazione” (organizing campaign) si attua prima delle elezioni. Durante tale campagna, sia il datore di lavoro che il sindacato condividono informazioni con i lavoratori, in modo che essi possano scegliere consapevolmente chi votare nell’ambito dell’elezione.
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