U.E., al via il Semestre italiano. Matteo Renzi lancia l’ “operazione Telemaco”

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Si è da poco concluso l’intervento del premier italiano Matteo Renzi nell’aula del Parlamento Europeo a Strasburgo (FR). Apre ufficialmente il “semestre italiano” di presidenza dell’Unione Europea. Il discorso del leader PD ha strappato gli applausi dell’assemblea in seguito alle numerose citazioni storiche legate al passato ed alle relazioni culturali esistenti con la Grecia – paese dal quale l’Italia riceve, a partire da oggi, il testimone nella guida dell’Ue.
Veemente, arguta ma, al contempo, carica di partecipazione emotiva è stata la relazione d’apertura del premier Renzi a Strasburgo – per di più trasmessa in diretta tv. Un discorso che ha colpito la platea soprattutto per l’esortazione rivolta all’Europa intera affinchè si faccia molto di più per garantire un futuro alle nuove generazioni. Sotto uno sguardo attento dei suoi colleghi connazionali, fra cui Gianni Pittella (PD) in prima fila, nonché del presidente uscente della Commissione Europea Juan Manuel Barroso e del neo presidente del Parlamento Martin Schulz, le battute renziane hanno preso il via da quella fotografia che ipoteticamente tutti potremmo auto scattarci nella fase storica in corso. Un “selfie” che – come ha detto lo stesso Renzi – evidenzierebbe soprattutto noia e stanchezza. Due sentimenti che vanno cavalcati non per dire che tutti i guai nascano dall’Europa. Ma al contrario (e qui la sottile stoccata al nemico politico Grillo e M5S – ndr), è dall’Italia che deve ripartire l’intero sistema. Un riferimento anche alla nuova situazione politica che si sta vivendo nell’aula del Parlamento neo eletto, con le nuove “famiglie” e schieramenti che si vanno componendo nell’assemblea di Strasburgo. In particolare è con i problemi concreti, però, che bisogna iniziare a fare i conti, sfruttando al meglio le reali potenzialità di un continente che “non si indigna” di fronte a tragedie come quella degli immigrati del nord Africa che muoiono ogni giorno sui barconi nel Canale di Sicilia; che “non si indigna” davanti alla prigionia di cristiani nelle lontane terre del Medio Oriente, trattenuti per il solo fatto di non essere islamici; che “non si indigna” se una donna è costretta a partorire senza le giuste forme d’assistenza di un paese democratico solo per motivi ideologici (cit.).
Il personaggio dell’antica mitologia greca di Ulisse ha affascinato generazioni intere di studenti. Ora, raccogliendo l’eredità della Grecia alla guida dell’Unione, è giunto il momento di passare alla fase 2, con l’ “operazione Telemaco”. Dal nome del figlio del re di Itaca eroe dell’Odissea, che ebbe all’epoca il duro compito di ricercare il padre e l’identità perduta di un popolo, ecco quindi la sottilissima metafora culturale con cui Matteo Renzi ha voluto chiudere il suo discorso di insediamento ed inaugurare il semestre italiano. Nella storia e nell’epica classica noi come penisola italica tramandammo le radici di Enea e Anchise con l’emergere della potenza di Roma. Oggi l’Europa deve fare lo stesso, ripartendo da un passaggio di consegne che non è solo greco-italiano (quanto alla presidenza Ue). A variare, nei primissimi mesi dell’Agenda italiana, saranno infatti anche il presidente della Commissione, con il tedesco J.P. Juncker in pole position, oltre che l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e il leader del Consiglio Europeo. Insomma un totale cambiamento di rotta, nel segno di quel 40 % di uno dei partiti più votati – quello di Renzi appunto – che si eleva così a guida della nuova Europa verso gli obiettivi di stabilità e crescita ancora non raggiunti.

 

Francesco Pascuzzo

 

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Un vecchio racconto

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L’aveva ricevuta il giorno del suo ottavo compleanno, e da allora non aveva fatto altro che prendersene cura. Aveva i fiori più belli che avesse mai visto. Bianchi, con delle venature di un rosso che non avrebbe saputo paragonare a nient’altro, splendevano fra quelle foglie di un verde brillante, vivo. La teneva davanti alla finestra della sua cameretta, ma non c’era giorno che non la portasse sul terrazzo a godere il sole nelle ore più tiepide della sera, l’ annaffiava e toglieva le foglie e i petali caduti, dopodichè si sedeva e la guardava, stando attento che nessun insetto o uccellino potesse avvicinarsi. Aveva provato parecchie volte a disegnarla, ma per quanto si sforzasse i colori non erano mai quelli che desiderava.

Era passata una settimana; i genitori si erano molto stupiti di quanto gli fosse piaciuto quel regalo, ma avevano pensato che presto se ne sarebbe stancato come spesso aveva fatto con i giocattoli che pure aveva ricevuto, e invece ciò non accadeva. La mattina prima di partire, il pomeriggio appena tornato da scuola, la sera dopo aver fatto – suo malgrado – tutti i compiti, il suo primo pensiero era di andare a vedere come stava la sua piantina, contare di nuovo i fiori sbocciati e i germogli che un giorno sarebbero stati fiori, ed era felice ogni volta che trovava più fiori del giorno prima, e si rattristava ogni volta che ne trovava uno per terra. Se succedeva, lo raccoglieva e lo conservava in un quaderno che teneva apposta fra gli altri, sulla scrivania.

Erano un po’ di giorni che la piantina non sembrava stare più bene come prima; i fiori cadevano, non nascevano nuovi germogli né sbocciavano quelli che già c’erano, e le foglie non erano più verdi come prima. Tutto ciò lo rendeva molto triste. Perché la piantina moriva? Lui ne aveva avuto cura, continuava ad averne come e più di prima, perchè non nascevano altri fiori? E perchè quelli che ancora resistevano non erano più brillanti e speciali come prima? Chiese a suo padre, ma lui disse che non se ne intendeva, e che comunque quel genere di piante si regalavano ben sapendo che sarebbero state buttate via non appena avessero cominciato a rovinarsi, non erano fatte per durare a lungo. Capì, ma non volle accettare.

Prese il suo vaso, cercando di non toccare i fiori che erano diventati più fragili che mai, e scese al piano di sotto. Ci abitava un vecchietto con i baffi, che aveva visto un sacco di volte nel giardino del condominio; quando il tempo era bello scendeva e si sedeva in mezzo ai fiori, quei fiori tristi di città che lui non aveva mai degnato di attenzione e che spesso aveva pure calpestato o distrutto giocando a pallone. A volte aveva avuto addirittura l’impressione che ci parlasse, con quei fiori. Forse per questo sperava che lui potesse aiutarlo.

Bussò alla porta, dopo un po’ aprì, e sorrise quando il ragazzino gli mostrò la pianta e gli parlò di quanto l’avesse amata e gli chiese, quasi piangendo, se avesse sbagliato qualcosa, e lo implorò di fare qualcosa per salvarla. Egli si mise gli occhiali e la osservò un po’, poi con un dito spostò il terreno dalla parte più vicina alle radici, e rivolse un sorriso benevolo al bimbo che aveva interrotto la sua noia televisiva con una richiesta tanto strana.
“Questa pianta non ce le ha le radici” disse. Incredulo, il ragazzino si avvicinò; guardò dove c’era meno terreno e vide che era proprio così.
“Perché non ce le ha?” disse trattenendo a stento le lacrime.
“Eh… questo era solo un ramo di una pianta. L’hanno messo nel vaso con un po’ di terreno e l’hanno venduto. Tanto chi te l’ha regalata pensava che l’avresti buttata subito…” “Non si può salvare?” “Temo proprio di no. Anzi, mi chiedo come sia sopravvissuta tanto tempo senza radici… di solito non durano che un paio di giorni”.
Prese il vaso e lo porse al bimbo. “Credo che sia vissuta tanto a lungo solo per l’amore che le hai dato tu…” sorrise di nuovo e lo accompagnò alla porta.
“Aspetta… Qualcosa puoi fare però” disse mentre già lo vedeva salire le scale. Il bambino si voltò di scatto, con gli occhi pieni di speranza:”Che cosa?” “Non dimenticarla. Non buttarla via. Un giorno potresti avere una bella sorpresa.”
Non capì, e anzi si arrabbiò un po’ perchè si sentiva preso in giro, ma decise che avrebbe fatto come gli aveva detto il vecchietto. Dopotutto, non poteva perderla più di tanto.

Dopo un po’ la pianta seccò del tutto; nonostante gli facesse male vederla ancora lì, la tenne ancora sul davanzale finchè non ne rimase più nulla, nonostante la madre avesse tentato più volte di convincerlo a buttarla.
Passarono mesi; un giorno di primavera, si svegliò e vide che c’era qualcosa di nuovo: una piccolissima piantina, che si vedeva a malapena, era spuntata dal terreno nel vaso dove quella vecchia era seccata.
In pochi giorni crebbe, germogliò, fiorì. Non aveva mai visto fiori così stupendi.

 

Aldo Terminiello, studente all’ultimo anno del corso di laurea in Letterature e Culture Comparate (con indirizzo Inglese e Cinese) all’Università “L’Orientale”, s’interessa principalmente di letteratura, fumetti e musica e ama cercare di leggere la realtà come se fosse un libro. Scarabocchiatore, dj, animatore ACG, traduttore, cuoco, cameriere, tecnico del computer, videomaker, scrittore, poeta, storpiatore di canzoni e soprattutto dormitore a livelli agonistici, è ancora in attesa di capire “cosa vuole fare da grande”.

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1914-2014, L’Europa affronta il suo “esame di maturità”

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Cent’anni fa nessuno auspicava di certo una traccia del genere, nelle scuole di tutta Italia. Una fra quelle prescelte dal Ministero dell’Istruzione per la prima prova dell’esame di Stato 2014 come tema storico – tipologia C – riguarda appunto il confronto fra il vecchio continente com’era allo scoppiare della prima guerra mondiale e quello odierno. Ma l’Europa ha realmente passato il suo “esame di maturità” ?

Gli studenti più ferrati su questa materia saranno in grado di dare il loro responso a questa bella domanda. La memoria riporta allo scorso anno, quando per la stessa tipologia di tema d’esame Pigs e Brics furono croce e delizia di alunni ed insegnanti. Nessuno ancora ci ha fatto i conti, ma la grave carenza di informazione sulle tematiche europee – che rappresentano pur sempre parte della storia contemporanea – è sembrata sussistere nel 2013 nella maggioranza delle scuole italiane, specialmente quelle della provincia più remota.

Ebbene, per il secondo anno di fila è l’Europa a spopolare fra tutte le possibili tracce storiche ministeriali. Il raffronto fra la Grande Guerra, di cui a breve ricorrerà l’anniversario dello scoppio (28 giugno 1914 – 28 giugno 2014), è non a caso l’oggetto della prima prova della maturità di quest’anno. Cento anni fa nessuno avrebbe mai pensato a quel che dopo ben due conflitti mondiali sarebbe potuto accadere in Europa. Dall’assassinio dell’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando d’Asburgo a Sarajevo nel 1914 è scattata infatti una scintilla che avrebbe di lì a poco cambiato per sempre gli equilibri geopolitici del continente. Le grandi potenze centro europee (Austria e Germania) videro ridimensionate fortemente le proprie ambizioni, dopo la sconfitta. Il blocco occidentale vittorioso, con l’adesione degli Stati Uniti, avrebbe portato poi alla Società delle Nazioni, soppiantata dopo la seconda guerra mondiale dall’attuale ONU. L’Europa, dal canto suo, avrebbe iniziato ad assumere connotati di una vera e propria Istituzione di diritto internazionale solo negli anni ’50. Da oltre due mesi vediamo in tv spot pubblicitari che recitano lo slogan “Di Europa si deve parlare!”. Allora vuol dire che qualcuno finalmente se n’è accorto e che gli stessi studenti – magari quelli più avveduti – potrebbero durante la loro prova d’esame testare le reali capacità della società attuale di confrontarsi con l’argomento Europa così com’è oggi.

Strano ma vero! Gavrilo Princip (lo studente serbo che uccise l’arciduca d’Austria a Sarajevo nel 1914 – ndr) costituisce la chiave di volta per capire l’Europa che sarebbe venuta di lì ai seguenti cent’anni. Russia, Impero Ottomano, Italia alle prese con il completamento dell’unità nazionale, Germania, Austria, Usa, Gran Bretagna, Francia e altri Stati aderenti all’uno o all’altro blocco hanno quindi scritto le sorti del mondo e dell’Europa stessa. Sorvolando su tutto quanto accaduto nel mezzo, magari con un cenno alle contrastanti idee d’Europa seguenti ad Alcide De Gasperi ed Altiero Spinelli a cavallo fra anni ‘40 e ’50 del Novecento, oggi ci si ritrova con un continente alle prese con un problema d’identità.

Se nel 1914 era l’identità nazionale a vacillare di fronte all’imperialismo sovietico, turco, austro-tedesco, adesso invece il gigante dai piedi d’argilla che è l’Unione Europea è messo alla prova da tantissimi “esami di maturità”. Quali ? Eccone un rapido elenco, auspicabile quale punto di vista assunto da parte di quegli studenti che sceglieranno la traccia C.

La questione del gas dalla Russia, dopo l’annuncio delle ultime ore del colosso Gazprom di voler tagliare le forniture di metano all’Ucraina e, quindi, a tutta l’Europa. Dove e come approvvigionarsi di fonti energetiche alternative è la prova di maturità dell’Europa oggi. La “guerra del gas” che segue alla (seconda) guerra di Crimea, insomma. Altra vicenda, l’immigrazione clandestina. Frontex, Mare Nostrum, sono solo nomi dietro i quali l’Ue si sta celando lasciando in concreto la patata bollente all’Italia in quanto Stato. Il Ministro dell’Interno Angelino Alfano ha quindi dichiarato pubblicamente di voler sospendere il programma d’accoglienza se l’Europa non darà prova di maturità, ancora, sul fronte immigrazione dal nord Africa.

Integrazione, scambi giovanili, Erasmus e altri simili, ecco un altro terreno minato dove pochi mesi fa l’Ue ha tentennato per motivi economici, mettendo a rischio i sogni di milioni di studenti desiderosi di viaggiare e confrontarsi con altre realtà lavorative attraverso esperienze internazionali. Poi, a seguire : crisi economica, stop all’Euro, tassi d’interesse, Unione bancaria, Federazione Europea. Tutti temi che le istituzioni dell’Ue, l’indomani delle elezioni per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo, stanno lentamente affrontando ma senza concrete soluzioni di breve periodo.

Insomma, mentre agli studenti di tutta Italia basteranno solo sei ore per mettere nero su bianco le reali possibilità di svolta per l’Europa di oggi confrontandola con quella di cent’anni fa, cosa farà l’Unione nei prossimi mesi – per di più i mesi del “semestre italiano” ? L’Europa a cent’anni dalla Grande Guerra ha davvero superato il suo esame di maturità ???

di Francesco Pascuzzo

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Passenger – Scare Away the Dark (video, testo e traduzione)

Copertina del singolo

Copertina del singolo

Oggi vorrei proporvi video, testo e traduzione di una canzone che può dire qualcosa ad ognuno di noi, soprattutto a quelli che stanno “morendo lentamente davanti a dei cazzo di computer”…

Passenger – Scare Away the Dark (lyrics)

Well, sing, sing at the top of your voice,
love without fear in your heart.
feel, feel like you still have a choice
if we all light up we can scare away the dark.

We wish our weekdays away,
spend our weekends in bed,
drink ourselves stupid,
and work ourselves dead
and all just because that’s what mom and dad said we should do…

we should run through the forest,
we should swim in the streams,
we should laugh, we should cry,
we should love, we should dream,
we should stare at the stars and not just the screens
you should hear what I’m saying and know what it means

To sing, sing at the top of your voice,
love without fear in your heart.
feel, feel like you still have a choice
if we all light up we can scare away the dark.

Well, we wish we were happier, thinner and fitter,
we wish we weren’t losers and liars and quitters,
we want something more not just nasty and bitter,
we want something real not just hash tags and Twitter,

it’s the meaning of life and it’s streamed live on YouTube
but I bet Gangnam Style will still get more views
we’re scared of drowning, flying and shooters,
but we’re all slowly dying in front of (fuckin’) computers

so sing, sing at the top of your voice!
Oh, love without fear in your heart.
Can you feel, feel like you still have a choice?
If we all light up we can scare away the dark.

 

Traduzione – Far scappare via l’oscurità

E canta, canta a squarciagola,
ama senza paura nel tuo cuore.
sentiti, sentiti come se potessi ancora scegliere
se ci illuminiamo tutti possiamo far scappare via l’oscurità.

Non vediamo l’ora che passino i giorni lavorativi,
e passiamo i nostri weekend a letto,
beviamo fino a diventare stupidi,
lavoriamo fino a sfinirci,
e tutto solo perché è questo che mamma e papà ci hanno detto di fare…

dovremmo correre fra le foreste,
dovremmo nuotare nei ruscelli,
dovremmo ridere, dovremmo piangere,
dovremmo amare, dovremmo sognare,
dovremmo stare a guardare le stelle e non soltanto degli schermi,
dovresti sentire ciò che dico e sapere cosa vuol dire

cantare, cantare a squarciagola
amare senza paura nel cuore,
sentirsi, sentirsi come se si potesse ancora scegliere
se ci illuminiamo tutti possiamo far scappare via l’oscurità.

E desidereremmo essere più felici, più magri e più in forma,
vorremmo non essere perdenti, bugiardi e gente che si arrende,
vogliamo qualcosa di più,non solo cose brutte e amarezze,
vogliamo qualcosa di vero, non solo hashtags e Twitter.

È il senso della vita trasmesso live su YouTube
ma scommetto che Gangnam Style farebbe comunque più visualizzazioni
abbiamo paura di affogare, di volare e di chi spara
ma stiamo tutti morendo lentamente davanti a dei cazzo di computer…

e quindi canta, canta a squarciagola!
Oh, ama, ama senza paura.
Riesci a sentirti, sentirti come se potessi ancora scegliere?
Se ci illuminiamo tutti possiamo far scappare via l’oscurità…

 

Aldo Terminiello, studente all’ultimo anno del corso di laurea in Letterature e Culture Comparate (con indirizzo Inglese e Cinese) all’Università “L’Orientale”, s’interessa principalmente di letteratura, fumetti e musica e ama cercare di leggere la realtà come se fosse un libro. Scarabocchiatore, dj, animatore ACG, traduttore, cuoco, cameriere, tecnico del computer, videomaker, scrittore, poeta, storpiatore di canzoni e soprattutto dormitore a livelli agonistici, è ancora in attesa di capire “cosa vuole fare da grande”.

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Vivere di passioni

Graffiti by Banksy, London.

Graffiti by Banksy, London.

È un po’ il sogno di tutti, guadagnarsi da vivere facendo ciò che più si ama. Poco importa se si tratti di musica, pittura, fotografia, fumetto, cinema, calcio, danza o di qualunque altra forma artistica o atletica, sembra che oggi gran parte dei giovani voglia almeno provare a fare della propria passione un lavoro, incoraggiati dai numerosi esempi che vedono intorno a sé (e, perché no, talvolta anche dai lauti guadagni e dalla vita privilegiata che è a loro riservata). Ma è davvero una scelta saggia scommettere tanto su una passione?

I genitori di oggi sono molto più propensi ad assecondare l’indole dei figli rispetto al passato, con sacrifici spesso enormi; la possibilità, che sembra essere quasi scontata, ma che invece non lo è affatto, unita all’idea che i vari talent show, concorsi di bellezza, contest e quant’altro rappresentino effettivamente una porta aperta che si deve solo avere il coraggio di varcare per giungere in quel mondo fatato in cui lavoro e passione coincidono, portano i ragazzi a pensare che sia effettivamente facile farlo.

Ma guardando bene in faccia la realtà, di facile c’è ben poco. Non illudiamoci – e soprattutto, i genitori non dovrebbero lasciare che i propri figli si illudano – che basta saper cantare senza spaccare i timpani al prossimo per diventare cantante, scattare qualche bella foto con l’Iphone per avere un futuro da fotografo professionista, scrivere in prosa decente per avere una via spianata come futuro autore di bestseller, giusto per fare qualche esempio. Per tutto ci vuole un impegno che va ben oltre l’apparenza: lo studio, l’allenamento costante, l’aggiornamento delle proprie capacità, la rinuncia a vizi incompatibili con la vita dell’atleta o di chi pratica altre arti in cui il corpo riveste un ruolo fondamentale vanno presi certamente in considerazione. Un talento è sì una qualità innata, ma ha sempre bisogno di essere allenato e fortificato per raggiungere i livelli più alti.

Sono necessari corsi, scuole, materiali, impegno costante e numerose rinunce. Tutto ciò ha ovviamente un costo economico, che spesso i genitori accettano di sostenere magari per dare ai propri figli la possibilità che a loro, perché i tempi erano diversi, non è stata data. Purtroppo però si vedono sempre più persone condurre un’esistenza praticamente da parassiti, “nell’attesa” dell’occasione d’oro, o durante la “gavetta”. In passato, chi faceva la gavetta viveva di stenti; ora campa allegramente sulle spalle dei genitori, nella maggior parte dei casi, senza rimorsi. Il sacrificio andrebbe almeno condiviso, così come andrà condiviso, poi, un eventuale successo.

Ma, anche supponendo che ci si senta del tutto sicuri di farcela e si abbia l’appoggio incondizionato della famiglia, bisogna pure tenere in considerazione che spesso la possibilità di vivere di un certo tipo di arte o di passione non dura per sempre, per vari motivi. Esempi lampanti sono le carriere di modelle, ballerine e calciatori, tanto ammirate dai più giovani. Quando si arriva al momento di fare i conti con il proprio corpo che invecchia, ecco che non si può più, oggettivamente, continuare. L’arte e lo sport non sono lavori stabili, checché se ne dica, e non garantiscono alcun guadagno; sono, in un certo senso, assai più meritocratici di qualunque altro ambito. Se non si è abbastanza bravi, o c’è qualcuno che è più bravo, o non si è capaci di mantenere il ritmo, si finisce nel dimenticatoio.

La concorrenza è spietata. Ad esempio, Youtube pullula di veri talenti, talvolta veramente straordinari, storie di ragazzi che diventano famosi pubblicando un video su internet sono all’ordine del giorno e non è raro che gli vengano poi offerte serie possibilità di carriera, scavalcando chi ha lavorato per anni e non ha mai ottenuto risultati. Prima di iniziare un percorso che metta alla base del proprio futuro una passione, ci si dovrebbe fermare un attimo a considerare se si sarà poi capaci di mantenere per tutta la vita quel ritmo, o di guadagnare abbastanza nel frattempo per sistemarsi anche per il futuro, di non esaurire la propria ispirazione rimanendo con niente in mano, di non arrivare ad odiare ciò che prima era qualcosa che si faceva per piacere ed è diventato man mano nient’altro che un mezzo di sostentamento.

Trasformare una passione in un lavoro richiede il giusto mix di talento naturale, allenamento, sacrificio e determinazione, l’appoggio della famiglia o la capacità di farcela con le proprie forze, ed inoltre ci vuole anche la chance giusta, che può capitare o meno, sebbene oggi sembri tutto a portata di mano.

Dirà quindi un ipotetico lettore attento, ma allora non si deve scegliere di seguire la propria passione? Ovviamente no, o almeno non necessariamente. C’è una frase di uno che “ce l’ha fatta” più di una volta, un mio idolo personale nonostante io non ami particolarmente lo sport in cui è campione. In un’intervista Alex Zanardi dice, fra l’altro, che

“bisogna anche accettare l’idea che di campione ce ne sia poi uno, ma se tu ci hai provato al meglio delle tue capacità, hai il diritto di sentirti realizzato al pari di quello che ha portato a casa la coppa più bella”

È questo, secondo me, lo spirito giusto: ci sono le difficoltà e gli ostacoli da superare, e c’è anche la possibilità di fallire o che i risultati non durino, ma l’importante è sentirsi soddisfatti del proprio percorso e cercare di guadagnarsi, con la propria fatica, il posto che si ritiene di meritare nel mondo e la possibilità di vivere facendo ciò che si ama. Non si può seguire ciecamente un miraggio che la società propone in continuazione, “perché sembra la via più facile”. Mi pare di aver provato a sufficienza che, facile, non lo è affatto.

 

Aldo Terminiello, studente all’ultimo anno del corso di laurea in Letterature e Culture Comparate (con indirizzo Inglese e Cinese) all’Università “L’Orientale”, s’interessa principalmente di letteratura, fumetti e musica e ama cercare di leggere la realtà come se fosse un libro. Scarabocchiatore, dj, animatore ACG, traduttore, cuoco, cameriere, tecnico del computer, videomaker, scrittore, poeta, storpiatore di canzoni e soprattutto dormitore a livelli agonistici, è ancora in attesa di capire “cosa vuole fare da grande”.

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La natura dell’animo umano

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Qual è la natura dell’uomo? Per rispondere a questa domanda si dovrebbe cercare di capire quale sia il suo comportamento naturale, il principio che ognuno seguirebbe in assenza di costrizioni sociali, avendo totale libertà di scelta. Per la filosofia di stampo cristiano tale natura è ovviamente buona, essendo l’uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio; si può altrimenti ipotizzare che la natura dell’uomo sia malvagia, basandosi su semplici osservazioni di carattere antropologico, o magari aprendo un libro di storia su una pagina qualsiasi e rendendosi conto di quanto il percorso dell’umanità sia costruito su azioni che una natura buona di tutti gli uomini non potrebbe contemplare. Le definizioni di “buono” e “cattivo” sono soggette però a un relativismo che ne mina la validità universale, in quanto in periodi storici e culture differenti le nozioni di bene e male possono confondersi se non scambiarsi del tutto.

Esiste tuttavia una pulsione universalmente valida che ci condiziona fin dalla più tenera età: il desiderio di soddisfare sé stessi, le proprie necessità fisiche prima di tutto, quindi la realizzazione dei propri desideri e ambizioni. Cosa faremmo se fossimo liberi di fare qualunque cosa? Soddisferemmo i nostri voleri, quali che essi siano, indipendentemente dal giudizio morale che li approverebbe come bene o condannerebbe come male. In una parola, la natura dell’uomo è fondamentalmente egoista.

Secondo la definizione di Treccani.it, l’egoismo è l’“atteggiamento di chi si preoccupa unicamente di sé stesso, del proprio benessere e della propria utilità, tendendo a escludere chiunque altro dalla partecipazione ai beni materiali o spirituali ch’egli possiede e a cui è gelosamente attaccato.” Sebbene senza l’estremizzazione del voler escludere chiunque altro dal proprio piacere, ogni nostra azione è, a ben guardare, dettata da un fondamentale sentimento di egoismo, per quanto apparentemente disinteressata. Ambrose Bierce, nel suo Dizionario del Diavolo (1911), definisce l’egoismo “padre di tutte le virtù”. Pietà filiale, benevolenza verso il prossimo, amore, affetto, coraggio: si potrebbe, con infiniti esempi, dimostrare quanto ogni azione diretta a beneficio del prossimo sia in realtà una forma di soddisfacimento di una parte del proprio ego. Faremmo di tutto per vedere felici i nostri genitori, le persone che amiamo, persino dei perfetti sconosciuti, ma in ultima analisi coloro che beneficiano dalle nostre azioni siamo sempre e soprattutto noi stessi.

“Non è in nome dell’altruismo, ma dell’egoismo che dovremmo rispettarci l’un l’altro.” (Pino Caruso, Ho dei pensieri che non condivido, 2009)

Si potrebbero tuttavia considerare come prova del contrario quelle persone e quei personaggi ormai ritenuti santi o eroi la cui generosità sia stata talmente disinteressata da portare addirittura conseguenze negative per chi compie il “bene”: condottieri che muoiono per liberare i popoli, manifestanti schiacciati dal potere, volontari che perdono la vita nel tentativo di dare sollievo al prossimo… Se si pensa che ognuno di essi non abbia fatto altro che ciò che li rendeva felici, orgogliosi delle proprie azioni, piuttosto che concentrarsi sul giudizio etico dato dalla bontà del loro operato, ci si rende conto che il principio che li spingeva a quelle azioni, lungi da ogni ideologia, è il semplice egoismo. Gli ideali d’amore, eroismo, libertà e mille altri non sono altro che la manifestazione esterna dell’oggetto dell’egoismo, che vuole soltanto soddisfare il desiderio di amare, di sentirsi eroi, di sentirsi liberi e liberi di dare la libertà…

“Gli ideali riescono a vincere completamente solo quando non avversano più l’interesse personale, cioè quando soddisfano l’egoismo.” (Max Stirner, L’unico e la sua proprietà, 1844).

Appare ovvio che, se ogni azione umana è dettata dall’egoismo, lo sono in egual misura quelle che classifichiamo come buone o malvagie: in quanto natura fondamentalmente neutra dell’animo umano, esso può spingere indifferentemente al bene o al male, a seconda dei desideri di ognuno.

“Togliete l’egoismo all’uomo, voi ne fate una pietra: non ha più ragione di operare né il bene né il male. L’egoismo è l’unico movente delle azioni umane”. (Carlo Bini, Manoscritto di un prigioniero, 1833).

Ancora, l’egoismo umano è stato definito come “La più grande forza produttiva.” (Robert Anson Heinlein, Lazarus Long l’Immortale, 1973). Anche questa affermazione è facile da sostenere, osservando le grandi opere che l’uomo è stato in grado di elevare semplicemente perché tale era il suo desiderio. Un autore di dubbia credibilità morale come De Sade giunge a definirlo come “la più sacra e la più certa tra le leggi della natura” (La nuova Justine, 1799), ed anche questa affermazione pare difficile da confutare – se non per la “sacralità”, quantomeno per la “certezza”.

Arthur Schopenhauer invece scrive che “L’egoismo ispira un tale orrore che abbiamo inventato le buone maniere per nasconderlo, ma traspare attraverso tutti i veli e si tradisce in ogni occasione” (Il mondo come volontà e rappresentazione, 1819), facendoci notare che, ad un occhio che voglia leggere le profonde ragioni dell’animo umano, qualunque azione appare chiaramente leggibile nell’ottica dell’egoismo di chi la compie, sebbene da un punto di vista sociale – le buone maniere – o affettivo, si tenda ad attribuire le loro ragioni a più nobili sentimenti. Un’affermazione piuttosto estrema, quella di Heinrich Wolfgang Seidel, che giunge a scrivere che “La forma più sublime dell’egoismo si chiama amore materno”: l’istinto della madre è quello di vedere in buona salute e felice il frutto del proprio grembo, questo è il suo desiderio più grande in quanto madre, il cui soddisfacimento rappresenta, comunque, l’obiettivo di un desiderio egoistico.

L’estremizzazione dell’egoismo, che spinge alcuni individui a manifestare tale qualità come tratto negativo della natura umana, non dovrebbe minare la credibilità di base del meccanismo naturale, amorale e neutro della ricerca del soddisfacimento dei propri desideri, di per sé né buono né cattivo; tuttavia, in una società in cui si fa bandiera del proprio disinteresse, dell’adoperarsi per il bene altrui, del vivere in funzione del proprio ruolo sociale ostentando l’abnegazione ad un “bene superiore”, avere la capacità di riconoscere quale sia la reale molla che spinge alle azioni umane rappresenta un modo per smascherare qualunque ipocrisia.

Un’ultima nota personale: ormai sei anni fa, primi mesi di università, cortile di Palazzo Corigliano (L’Orientale, in cima a Via Mezzocannone). Gli studenti di Cinese I, fra cui l’autore di questo articolo, si opponevano ai “manifestanti” che occupavano le aule bloccando le lezioni (il sottoscritto particolarmente infastidito, causa sveglia alle 5:40, necessaria per seguire i corsi alle 8). Una fricchettona sedicente studentessa, capelli rossicci vestiti vecchi occhiali brutti, all’obiezione sollevata da una di noi che sosteneva che non è impedendoci di studiare che si garantisce il diritto allo studio, rispondeva dicendo (più o meno) “noi dobbiamo lottare per i nostri diritti, voi che pensate, che noi non dobbiamo studiare? Io mi devo laureare, eppure sono qui a manifestare (sottinteso, negligendo ai miei doveri di studente)”. Se allora avessi già raggiunto le conclusioni di cui sopra, avrei potuto risponderle che lei non era lì per noi, ma per sé stessa, per sentirsi realizzata nel “lottare per i diritti altrui” (virgolette di sbeffeggiamento). Puoi farlo, certo, se ti va: ma non pretendere di imporre la tua idea di cosa è bene fare per il nostro futuro, né aspettarti gratitudine o rispetto per il tuo egoismo, perché è ovvio che tu preferisci stare qua a sgallinare slogan piuttosto che finire la tesi ed andartene a lavorare. Avete presente quando vi viene in mente la risposta perfetta quando ormai non serve più? Sei anni dopo è un po’ un record personale…

Aldo Terminiello, studente all’ultimo anno del corso di laurea in Letterature e Culture Comparate (con indirizzo Inglese e Cinese) all’Università “L’Orientale”, s’interessa principalmente di letteratura, fumetti e musica e ama cercare di leggere la realtà come se fosse un libro. Scarabocchiatore, dj, animatore ACG, traduttore, cuoco, cameriere, tecnico del computer, videomaker, scrittore, poeta, storpiatore di canzoni e soprattutto dormitore a livelli agonistici, è ancora in attesa di capire “cosa vuole fare da grande”.

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