
Qual è la natura dell’uomo? Per rispondere a questa domanda si dovrebbe cercare di capire quale sia il suo comportamento naturale, il principio che ognuno seguirebbe in assenza di costrizioni sociali, avendo totale libertà di scelta. Per la filosofia di stampo cristiano tale natura è ovviamente buona, essendo l’uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio; si può altrimenti ipotizzare che la natura dell’uomo sia malvagia, basandosi su semplici osservazioni di carattere antropologico, o magari aprendo un libro di storia su una pagina qualsiasi e rendendosi conto di quanto il percorso dell’umanità sia costruito su azioni che una natura buona di tutti gli uomini non potrebbe contemplare. Le definizioni di “buono” e “cattivo” sono soggette però a un relativismo che ne mina la validità universale, in quanto in periodi storici e culture differenti le nozioni di bene e male possono confondersi se non scambiarsi del tutto.
Esiste tuttavia una pulsione universalmente valida che ci condiziona fin dalla più tenera età: il desiderio di soddisfare sé stessi, le proprie necessità fisiche prima di tutto, quindi la realizzazione dei propri desideri e ambizioni. Cosa faremmo se fossimo liberi di fare qualunque cosa? Soddisferemmo i nostri voleri, quali che essi siano, indipendentemente dal giudizio morale che li approverebbe come bene o condannerebbe come male. In una parola, la natura dell’uomo è fondamentalmente egoista.
Secondo la definizione di Treccani.it, l’egoismo è l’“atteggiamento di chi si preoccupa unicamente di sé stesso, del proprio benessere e della propria utilità, tendendo a escludere chiunque altro dalla partecipazione ai beni materiali o spirituali ch’egli possiede e a cui è gelosamente attaccato.” Sebbene senza l’estremizzazione del voler escludere chiunque altro dal proprio piacere, ogni nostra azione è, a ben guardare, dettata da un fondamentale sentimento di egoismo, per quanto apparentemente disinteressata. Ambrose Bierce, nel suo Dizionario del Diavolo (1911), definisce l’egoismo “padre di tutte le virtù”. Pietà filiale, benevolenza verso il prossimo, amore, affetto, coraggio: si potrebbe, con infiniti esempi, dimostrare quanto ogni azione diretta a beneficio del prossimo sia in realtà una forma di soddisfacimento di una parte del proprio ego. Faremmo di tutto per vedere felici i nostri genitori, le persone che amiamo, persino dei perfetti sconosciuti, ma in ultima analisi coloro che beneficiano dalle nostre azioni siamo sempre e soprattutto noi stessi.
“Non è in nome dell’altruismo, ma dell’egoismo che dovremmo rispettarci l’un l’altro.” (Pino Caruso, Ho dei pensieri che non condivido, 2009)
Si potrebbero tuttavia considerare come prova del contrario quelle persone e quei personaggi ormai ritenuti santi o eroi la cui generosità sia stata talmente disinteressata da portare addirittura conseguenze negative per chi compie il “bene”: condottieri che muoiono per liberare i popoli, manifestanti schiacciati dal potere, volontari che perdono la vita nel tentativo di dare sollievo al prossimo… Se si pensa che ognuno di essi non abbia fatto altro che ciò che li rendeva felici, orgogliosi delle proprie azioni, piuttosto che concentrarsi sul giudizio etico dato dalla bontà del loro operato, ci si rende conto che il principio che li spingeva a quelle azioni, lungi da ogni ideologia, è il semplice egoismo. Gli ideali d’amore, eroismo, libertà e mille altri non sono altro che la manifestazione esterna dell’oggetto dell’egoismo, che vuole soltanto soddisfare il desiderio di amare, di sentirsi eroi, di sentirsi liberi e liberi di dare la libertà…
“Gli ideali riescono a vincere completamente solo quando non avversano più l’interesse personale, cioè quando soddisfano l’egoismo.” (Max Stirner, L’unico e la sua proprietà, 1844).
Appare ovvio che, se ogni azione umana è dettata dall’egoismo, lo sono in egual misura quelle che classifichiamo come buone o malvagie: in quanto natura fondamentalmente neutra dell’animo umano, esso può spingere indifferentemente al bene o al male, a seconda dei desideri di ognuno.
“Togliete l’egoismo all’uomo, voi ne fate una pietra: non ha più ragione di operare né il bene né il male. L’egoismo è l’unico movente delle azioni umane”. (Carlo Bini, Manoscritto di un prigioniero, 1833).
Ancora, l’egoismo umano è stato definito come “La più grande forza produttiva.” (Robert Anson Heinlein, Lazarus Long l’Immortale, 1973). Anche questa affermazione è facile da sostenere, osservando le grandi opere che l’uomo è stato in grado di elevare semplicemente perché tale era il suo desiderio. Un autore di dubbia credibilità morale come De Sade giunge a definirlo come “la più sacra e la più certa tra le leggi della natura” (La nuova Justine, 1799), ed anche questa affermazione pare difficile da confutare – se non per la “sacralità”, quantomeno per la “certezza”.
Arthur Schopenhauer invece scrive che “L’egoismo ispira un tale orrore che abbiamo inventato le buone maniere per nasconderlo, ma traspare attraverso tutti i veli e si tradisce in ogni occasione” (Il mondo come volontà e rappresentazione, 1819), facendoci notare che, ad un occhio che voglia leggere le profonde ragioni dell’animo umano, qualunque azione appare chiaramente leggibile nell’ottica dell’egoismo di chi la compie, sebbene da un punto di vista sociale – le buone maniere – o affettivo, si tenda ad attribuire le loro ragioni a più nobili sentimenti. Un’affermazione piuttosto estrema, quella di Heinrich Wolfgang Seidel, che giunge a scrivere che “La forma più sublime dell’egoismo si chiama amore materno”: l’istinto della madre è quello di vedere in buona salute e felice il frutto del proprio grembo, questo è il suo desiderio più grande in quanto madre, il cui soddisfacimento rappresenta, comunque, l’obiettivo di un desiderio egoistico.
L’estremizzazione dell’egoismo, che spinge alcuni individui a manifestare tale qualità come tratto negativo della natura umana, non dovrebbe minare la credibilità di base del meccanismo naturale, amorale e neutro della ricerca del soddisfacimento dei propri desideri, di per sé né buono né cattivo; tuttavia, in una società in cui si fa bandiera del proprio disinteresse, dell’adoperarsi per il bene altrui, del vivere in funzione del proprio ruolo sociale ostentando l’abnegazione ad un “bene superiore”, avere la capacità di riconoscere quale sia la reale molla che spinge alle azioni umane rappresenta un modo per smascherare qualunque ipocrisia.
Un’ultima nota personale: ormai sei anni fa, primi mesi di università, cortile di Palazzo Corigliano (L’Orientale, in cima a Via Mezzocannone). Gli studenti di Cinese I, fra cui l’autore di questo articolo, si opponevano ai “manifestanti” che occupavano le aule bloccando le lezioni (il sottoscritto particolarmente infastidito, causa sveglia alle 5:40, necessaria per seguire i corsi alle 8). Una fricchettona sedicente studentessa, capelli rossicci vestiti vecchi occhiali brutti, all’obiezione sollevata da una di noi che sosteneva che non è impedendoci di studiare che si garantisce il diritto allo studio, rispondeva dicendo (più o meno) “noi dobbiamo lottare per i nostri diritti, voi che pensate, che noi non dobbiamo studiare? Io mi devo laureare, eppure sono qui a manifestare (sottinteso, negligendo ai miei doveri di studente)”. Se allora avessi già raggiunto le conclusioni di cui sopra, avrei potuto risponderle che lei non era lì per noi, ma per sé stessa, per sentirsi realizzata nel “lottare per i diritti altrui” (virgolette di sbeffeggiamento). Puoi farlo, certo, se ti va: ma non pretendere di imporre la tua idea di cosa è bene fare per il nostro futuro, né aspettarti gratitudine o rispetto per il tuo egoismo, perché è ovvio che tu preferisci stare qua a sgallinare slogan piuttosto che finire la tesi ed andartene a lavorare. Avete presente quando vi viene in mente la risposta perfetta quando ormai non serve più? Sei anni dopo è un po’ un record personale…
Aldo Terminiello, studente all’ultimo anno del corso di laurea in Letterature e Culture Comparate (con indirizzo Inglese e Cinese) all’Università “L’Orientale”, s’interessa principalmente di letteratura, fumetti e musica e ama cercare di leggere la realtà come se fosse un libro. Scarabocchiatore, dj, animatore ACG, traduttore, cuoco, cameriere, tecnico del computer, videomaker, scrittore, poeta, storpiatore di canzoni e soprattutto dormitore a livelli agonistici, è ancora in attesa di capire “cosa vuole fare da grande”.
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