La Terza Guerra Mondiale ed i sistemi di dominio


Il più pertinente sistema di dominio di un uomo, o di una ristretta cerchia di uomini, sugli altri uomini è senz’altro stato quello “divino”: in tal caso non vi era necessità di una giustificazione del dominio, né tantomeno – fatto tutt’altro che irrilevante – dei mezzi con cui tal dominio si esercitava.
Era l’essenza divina, la consacrazione, a garantire al regnante la sua affermazione. E gli altri erano sottomessi al suo dominio.
Quando tale sistema è venuto, sotto spinte filosofiche e scientifiche, a crollare, i regnanti, non potendo più governare “in nome della divinità” e spesso vincolati da Costituzioni, hanno dovuto trovare altre forme di giustificazione del dominio.
Tra queste la più evidente è stata senza dubbio l’uso interno della forza: le brutali repressioni di insurrezioni od albe di rivoluzioni hanno fatto da deterrente per lo sviluppo di ulteriori contestazioni al dominio.
Tuttavia, un secondo, e certamente più subdolo, sistema di dominio su di una certa popolazione è stata la guerra: lo scatenare una guerra comportava – e comporta – un’ingente perdita di uomini.
E gli uomini che si perdevano non appartenevano alle classi dominanti, ma in larghissima parte alle altre classi: in tal modo, la maggior parte degli individui si trovava a vivere sotto il pericolo della guerra e, quindi, della morte.
Il potere di non partecipare alla guerra è stato decisivo affinché le classi dominanti perpetuassero il proprio dominio. Questo è il punto cruciale, e di estrema attualità: la differenza tra chi sceglie di fare la guerra e chi la guerra la fa.
L’importanza di tal punto è ancor più evidente in questo periodo, nel quale è emersa una sorta di “Terza Guerra Mondiale fluida”.
Chi detiene il potere, per perpetuarlo (ed oggi che il mezzo di misura del poter è il denaro: per arricchirsi) ha bisogno di dominare la maggior parte della popolazione, più che mettendo a tacere, evitando proprio l’insorgenza di contestazioni. E come lo fa?

All’interno dei proprio confini (oggi, in un mondo post-Statale, più che indefiniti, ma comunque ancora occidento-centrici), lo fa, seguendo Adorno, aumentando la quantità dei beni a disposizione della popolazione, sicché con la qualità della vita cresce direttamente anche la dirigibilità (o, si potrebbe dire, la voglia di essere sotto questo piacevole dominio).
Ma affermato il dominio entro le proprie mura, come fa il dominio ad espandersi se l’era delle guerre dirette è finita (dato proprio che gli studenti – che classicamente, per la loro giovane età, son quelli che hanno fatto la guerra – si son ribellati a questo sistema di dominio, pur finendo placidamente controllati nel secondo modo) ?
Lo fa, e qui ritorniamo al punto di partenza, scegliendo chi deve fare la guerra: chi (in questo caso non più persone, ma organi istituzionali) sceglie di fare la guerra è chi detiene il dominio, chi fa la guerra (generalmente le popolazioni delle nazioni meno sviluppate) è sotto il dominio.

E qui trova la giustificazione la Terza Guerra Mondiale: si può considerarla “fluida” perché ci troviamo in assenza di concreti obiettivi geostrategici, se non quelli propri del dominio.
È questo mettere fuori dal novero dei liberi, perché dominati dalla necessità della guerra, che perpetua il dominio. Così in Iraq, in Libia, in Siria, etc. la guerra è fluida perché l’obiettivo stesso della guerra è il fare la guerra per perpetuare il dominio. Per perseguire quest’obiettivo si è giunti, addirittura, alla creazione di guerre civili: si arma prima un popolo, poi l’altro e li si spinge a far guerra tra di loro.
In tal modo il dominio è assicurato: la distruzione di interi popoli, tra cui soprattutto giovani e studenti, è la più grande garanzia che quel popolo non avrà futuro.
E la Pace è il più grande strumento rivoluzionario.

I don’t need your civil war
It feeds the rich while it buries the poor
Your power hungry sellin’ soldiers
In a human grocery store
Ain’t that fresh
I don’t need your civil war

                                                                                                                                  Raffaele Vanacore

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