IL MANIFESTO DI VENTOTENE. PER UN’EUROPA LIBERA ED UNITA


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INTRODUZIONE ED ANALISI DELLA PREFAZIONE DI EUGENIO COLORNI ALL’EDIZIONE 1944

La comprensione dell’attualità, oltre che dell’importanza, del Manifesto di Ventotene si fa piena considerando il titolo in toto: difatti, quello a cui aspirano Spinelli e Rossi è un’ Europa libera ed unita. In tal senso, si rivelano i due aspetti peculiari della loro visionaria e possente passione  (non dimentichiamo che mentre scrivevano il nazismo imperava in Europa): da un lato, dunque, c’è la ben conosciuta unità europea (aspetto sul quale torneremo più avanti), dall’altro si riscontra quella che dovrebbe essere l’architrave di una unione europea realmente realizzatasi. Questa è la libertà.

Essa non va intesa soltanto come libertà individuale, ma altresì come libertà da vincoli esteri. E ciò risulta decisamente rilevante in questa terzo millennio, caratterizzato per un verso dall’avanzata russa, che crea dipendenza economica grazie alle sue riserve di gas e petrolio, e dall’altro dalla sempre stabile influenza (per non dire egemonia) degli Stati Uniti sulla gran parte degli Stati europei.

È singolare, dunque, che mentre le idee centrali del Manifesto andavano maturando – e quindi mentre si affrontava con forza la necessità di una libertà dall’esterno – allo stesso tempo Erich Fromm, nel suo “Fuga dalla libertà” analizzava nitidamente il problema della libertà interiore, riconoscendo che “milioni di persone, invece di volere la libertà, cercavano i modi di evaderne”. Insomma, per Fromm “la crisi della democrazia non è problema peculiarmente italiano e tedesco, ma è problema di ogni Stato moderno”. Si evince da ciò – agevolmente –che il problema decisivo non è solo quello di creare le condizioni socio-economiche per un pieno libertà dall’esterno, ma anche quello di generare – ove e se possibile – le premesse cognitive per una piena libertà dall’interno.

Questo punto è fondamentale e da ciò si ricava la natura marxista del pensiero di Spinelli e Rossi; se per Marx il lavoro alienato incatena e soggioga l’uomo, per gli autori del Manifesto è la guerra ad assoggettare l’uomo: “le libertà individuali si riducono al nulla, dal momento che tutti sono militarizzati e continuamente chiamati a prestare servizio militare”. La liberazione dal lavoro alienato rappresenta una liberazione per l’individuo tanto quanto la liberazione dal giogo della guerra: la ricerca della pace risulta, dunque, la ricerca della libertà individuale.

È sempre Fromm a stabilire – in via definitiva – il nocciolo della questione quando cita, magistralmente, un celebre passo di “Freedom and Culture” di Dewey: “la vera minaccia per la nostra democrazia non è l’esistenza di Stati totalitari stranieri. È l’esistenza, nei nostri atteggiamenti personali e nelle nostre istituzioni, di condizioni che in paesi stranieri hanno dato la vittoria all’autorità esterna, alla disciplina, all’uniformità ed alla sottomissione al Capo. E quindi il campo di battaglia è anche qui: in noi stessi e nelle nostre istituzioni”.

È oltremodo chiaro, dunque, come il problema è, inestricabilmente, in noi e nelle nostre istituzioni, dal momento che – e qui ci ricolleghiamo alla più coerente tradizione marxista – sono le istituzioni a costituirsi come coscienza individuale. In somma, istituzioni libere equivalgono ad individui liberi. Ma quali sono queste istituzioni libere? Non di certo gli stati sovrani che – come rileva Colorni nella Prefazione all’edizione del ’44 – “geograficamente, economicamente, militarmente individuati” praticano un bellum omnia contra omnes. Cosa dunque può apportare la pace, e dunque la libertà – sociale ed individuale?

Scacciato “il tacito presupposto dell’esistenza dello stato nazionale” (concetto, quindi, incontrovertibilmente storico e, pertanto, superabile), occorre procedere alla “creazione delle premesse, economiche, politiche, morali per l’instaurazione di un ordinamento federale che abbracci tutto il continente”. È forse un caso che lo stesso Colorni citi espressamente le “premesse morali” come fondamento di una nuova società libera? Risulta, infatti, notevole rilevare come vi sia un fulcro marxista-freudiano della questione della libertà, che da un lato evolverà come psico-sociologia – si pensi alla Scuola di Francoforte, in cui si forma appunto Fromm – dall’altro come economia politica – si pensi proprio agli esponenti del Manifesto.

Ma quali sono queste “premesse”? Colorni le riconosce in: esercito unico federale, unità monetaria, abolizione delle barriere doganali e delle limitazioni tra gli stati appartenenti alla Federazione, rappresentanza diretta dei cittadini ai consessi federali, politica estera unica. Queste sono, in conclusione, le premesse – ben chiarite da Colorni nella prefazione – per una Federazione di Stati che liberi la società e l’individuo.

Raffaele Vanacore
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