Adorno, ovvero la dialettica negativa e le basi freudiane della Scuola di Francoforte di Raffaele Vanacore


L’analisi del pensiero di Adorno (il quale, si ricorda, trae il cognome dalla madre italiana e ciò a testimonianza del suo amore per l’Italia, intesa come patria dell’arte)  ci consente – e vuole come premessa – un breve cenno alle fondamenta filosofico-sociologiche della Scuola di Francoforte. Essa, infatti, nasce con l’obiettivo di operare una sintesi – decisiva per lo sviluppo sociale delle generazioni successive – tra hegelismo, marxismo e freudismo. L’influenza incontrastata dell’hegelismo sulla filosofia tedesca non poteva, infatti, evitare di imporsi come substrato filosofico, seppur entro certi limiti criticabile e criticato, di ogni filosofia in fieri.

Ed è così che Adorno, sull’influenza della critica dialettica hegeliana della “Fenomenologia dello spirito”, sceglie come momento essenziale della realtà, piuttosto che la dialettica sintetica (terzo momento della dialettica, e quindi della realtà, hegeliana), la dialettica negativa. Il momento decisivo della dialettica, secondo Adorno, è quindi la negazione, intesa come negazione dell’identità tra essere e pensiero: infatti, già nel 1931 nel saggio “L’attualità della filosofia”, Adorno aveva suggerito che “nessuna ragione giustificativa potrebbe ritrovare se stessa in una realtà il cui ordine e la cui forma respingono e reprimono ogni pretesa della ragione”. Per Adorno, dunque, tutti quei sistemici filosofici che si proponevano come “ragione del mondo”, postulando, in sostanza, una razionalità dell’essere non solo come forma, ma anche come obiettivo della realtà, insomma tutti i sistemi positivisti, erano falsi: fenomenologia, idealismo, illuminismo non servono ad altro che a “mascherare la realtà e ad eternizzarne il suo stato presente”.

Questi sistemi, in pratica, ponendosi come momenti sintetici, e quindi razionali, della realtà, ne giustificano la sua essenza: un sistema basato sulla negazione, invece, rivela la non-identità tra essere e pensiero. Adorno rovescia in toto il sistema hegeliano ed afferma, in “Tre studi su Hegel”, che “il reale non è ragione”. L’intuizione che la realtà “tende a fare simile il dissimile” ha avuto, purtroppo, una conferma decisiva: la globalizzazione, intesa come assimilazione universale al modello del mercato, si è potuta concretizzare grazie a filosofie positivistiche di stampo soprattutto economico, che hanno reso possibile l’attuazione concreta, e per questo pretesa come razionale, di ideologie in realtà irrazionali. In sostanza, le filosofie positiviste, grazie all’attuazione di un certo programma, pretendono che questo, proprio perché attuato, sia razionale; al contrario, le filosofie negative negano questa razionalità all’esistente e mirano ad una critica della realtà.

In “Minima moralia”, Adorno svela come le filosofie positiviste tendano a fornire una giustificazione cognitiva alla realtà dominante: “La schematizzazione in importante e secondario ripete formalmente la gerarchia di valori della prassi dominante. La divisione del mondo in cose principali ed accessorie ha sempre contribuito a neutralizzare, come semplici eccezioni, i fenomeni in chiave dell’estrema ingiustizia sociale”. Questo sconfinamento nel campo del cognitivo non lascia sorpresi se si colgono delle analogie tra la filosofia critica di Adorno e la psicologia strutturalista di Lacan. Secondo Adorno, infatti, “la critica sviluppata all’identità tende in direzione dell’Oggetto”: in altri termini, considerando l’Oggetto come l’emblema della realtà, esso si rivela il momento altro dal Soggetto per eccellenza. È proprio grazie all’Oggetto che il Soggetto scopre le diversità e può scoprire una visione critica della realtà. Secondo Lacan, l’Oggetto è linguaggio, o meglio struttura di linguaggio, ed il linguaggio struttura, a sua volta, l’inconscio: ed è proprio nell’inconscio che l’Oggetto svolge la sua funzione peculiare. E’ qui, infatti, che l’Oggetto si pone come desiderio dell’Altro.

Il cenno a Lacan ci offre l’occasione ideale per una breve riflessione sull’altra componente della Scuola di Francoforte: il freudismo (tralasciamo, invece, lo studio della terza componente, ovvero il marxismo, che richiederà un articolo a sé). Le teorie psicologiche di Freud ebbero un’influenza irrefrenabile in qualsiasi campo umano, ed in particolare nella filosofia sociale: infatti, la strutturazione della psiche in Io, Es e Super-io fornì il substrato neuropsicologico ad un’analisi bio-sociale (e per questo bio-politica) del rapporto tra società ed individuo. Ciò che si rivelò di estrema importanza, e su cui fondarono in larga parte le loro analisi psico-sociologiche i francofortesi, fu la dimostrazione (seppur non su basi neuroscientifiche accertate) che la società si sviluppa cognitivamente come Super-io: tale struttura, ontogeneticamente e filogeneticamente determinata, ha un’influenza decisiva sulla sviluppo psichico dell’individuo. La liberazione dalle catene del Super-io, in sostanza, presuppone una liberazione non solo dai vincoli psichici soggettivi, ma anche da una società volta a strutturare i suoi bisogni nella psiche dell’individuo, rendendolo schiavo così della società stessa. Ed è per questo che per Marcuse la lotta per la libertà è essenzialmente lotta politica. [continua-3]

 
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