La vetrina del luogo in cui lavori,
Un monotono giorno, il solito sole, un vento mai stanco.
Singhiozzi e pianti mai esplosi
Fragorosamente picchiano al mio stupido orgoglio,
E le mani tremano, racchiuse in un pugno.
Celano la fessura di cui sei la chiave,
Come a proteggere la verità e dare forza ai miei scudi.
L’organo della vita tuona ad una frequenza nuova,
Preambolo di fuga o spinta a ritrovare coraggio?
Il tempo incessante scandisce il mio dibattermi immobile,
Il peso dei pensieri pietrifica i muscoli, ma non lo sguardo:
Irrequieto e frenetico agogna un tuo gesto,
Áncora di salvezza dalla deriva in un mondo non vero
Dove il cuore ragiona, la ragione si cela e l’occhio non vede.
Ad ogni passo il respiro si blocca
Un macigno sul petto soffoca i pensieri e sfuma le parole.
La fatica dei metri che mi separano da te svanisce in un filo dorato,
Che lega saldo ciò che sono a ciò che sei, indissolubilmente,
Ed un bacio salda due vite da sempre distanti ma non estranee.
O, forse, l’oscura ombra che irretisce i sogni mi ha stretto a sé,
Lì dove tutto è reale, ma nulla è vero.