Sono gli eventi della prima guerra mondiale (a cui lui stesso partecipò), della repressione nel sangue della sollevazione spartachista (con l’uccisione di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht) e dell’avvento del nazismo (era lui stesso ebreo) a condurre Marcuse allo studio della società e della politica. Era infatti possibile una società diversa, che non si basasse sulla guerra, sulla repressione e sulla persecuzione? A questa domanda Marcuse cerca di rispondere, nel 1955 con il suo primo capolavoro, “Eros e civiltà”: partendo dal presupposto che “l’epoca tende al totalitarismo anche dove non ha prodotto stati totalitari” e che “se l’individuo non ha né la capacità né la possibilità di vivere per se stesso, i termini della psicologia diventano i termini delle forze della società che determinano la psiche”, considerando dunque la società capitalista come totalitaria (già Erich Fromm aveva considerato il conformismo democratico come l’altra faccia, opposta ma speculare dunque alla dittatura, del totalitarismo ) e la stragrande maggioranza degli individui incapaci od impossibilitati a vivere per se stessi, risulta che la società totalitaria domina la psiche dell’individuo. I movimenti nati proprio negli anni ’60, studenteschi, operai e per i diritti civili, nacquero proprio per raggiungere questi obiettivi: la fine di una società tendente al totalitarismo e lo sviluppo delle capacità e delle possibilità dell’individuo di vivere per se stesso (con forti rivendicazioni politiche: diminuzione dell’orario di lavoro, aumento dei salari, istruzione per tutti, etc.). E Marcuse appoggiò incondizionatamente i movimenti, al punto tale da ripubblicare “Eros e civiltà” nel 1966 ed aggiungere una “Prefazione politica”, che termina così: “ il rifiuto degli intellettuali di collaborare può trovare appoggio in un altro catalizzatore: il rifiuto istintuale dei giovani in protesta. Sono le loro vite che sono in giuoco, e se non le loro vite certo la loro salute mentale e la loro possibilità di essere completamente uomini. La loro protesta continuerà, perché è una necessità biologica. […] Oggi la lotta per la vita, la lotta per l’Eros, è la lotta politica”.
Tuttavia, alle proteste crescenti in tutto il mondo ben presto iniziò a reagire il potere che voleva non solo il mantenimento dello status quo, ma anzi un inasprimento del controllo politico e sociale. È infatti nel 1971 che Powell, giudice della Corte Suprema degli USA, invia un memoradum (il Powell Memorandum, appunto), a Syndor jr., presidente della commissione per l’educazione della Camera di Commercio statunitense. Secondo Powell “le più inquietanti voci che si uniscono al coro dei critici sono giunte da parte di elementi della società assolutamente rispettabili: dai campus dei College, dai pulpiti delle chiese, dai media, da riviste intellettuali e ricercate, dalle arti, dalle scienze e dai politici”. In altre parole, queste inquietanti voci erano quelle a cui Marcuse aveva dato senso ed unità. Inoltre, “non si tratta di attacchi sporadici o isolati di relativamente pochi estremisti o anche della minoranza dei quadri socialisti. Piuttosto l’assalto al sistema di impresa è ampio e perseguito con coerenza. Sta guadagnando slancio e converte”. Quindi nel 1971 i movimenti sembravano esser sul punto di rovesciare il sistema capitalistico e di sostituirlo con un sistema più aperto e libero, forse proprio con quel sistema, quella società meno tendente al totalitarismo, che Marcuse auspicava. Ed infatti, Powell cita proprio Marcuse come principale leader intellettuale dei movimenti studenteschi: “anche se le origini, le fonti e le cause sono complesse ed interdipendenti, e ovviamente difficili da identificare senza una attenta qualifica, c’è ragione di credere che il campus sia la fonte singola più dinamica. Le facoltà di scienze sociali solitamente includono membri che sono insensibili al sistema imprenditoriale. Essi possono variare da Herbert Marcuse, marxista membro della Università della Californiaa San Diego e convinto socialista, all’ambivalente critico liberale che trova molto di più da condannare cheda lodare”.
Peraltro, “poiché questi giovani brillanti, dai campus di tutto il paese, cercano opportunità per cambiare un sistema del quale gli è stato insegnato di diffidare, se non proprio di disprezzare, essi cercano impiego nei centri di reale potere ed influenza nel nostro paese”. Di conseguenza, “una delle priorità delle operazioni del business, e delle organizzazioni come la Camera, è di affrontare l’origine nel campus di questa ostilità”. Powell parla pertanto, espressamente, di un attacco alla libertà accademica. Il Memorandum prosegue poi con “consigli” da adoperare, oltre che nei campus, nelle scuole secondarie, nei media etc. al fine, dunque, di impedire il cambiamento del sistema dal basso (bottom-up) e di favorire un controllo dall’alto (top-down). Secondo Luciano Gallino, Powell “ oggi sarebbe deliziato nel vedere come le sue proposte siano state applicate con successo, oltre che negli USA, in tutta l’UE. […] Nel volgere di alcuni decenni, infatti, le dettagliate proposte del Powell Memorandum sono state messe in pratica negli USA ed in Europa, facendo registrare uno straordinario successo”. Il risultato è un controllo pressoché totale da parte delle “imprese, ossia dei gruppi e dei soggetti economicamente al vertice della società (l’1% di Stiglitz..), sugli individui.
E qui ritorniamo al punto di partenza: come ha fatto “il sistema delle industrie” ha riprendersi saldamente il controllo? Proprio come detto all’inizio “se l’individuo non ha né la capacità né la possibilità di vivere per se stesso, i termini della psicologia diventano i termini delle forze della società che determinano la psiche”. Quindi, si è fatto in modo che, tramite l’attuazione di misure economicamente svantaggiose per studenti, lavoratori e cittadini in generale, nonché tramite il declassamento delle facoltà di scienze sociali, l’individuo perdesse in larga parte le capacità e le possibilità di una vita autonoma: in tal modo è la società dominante, ossia “il sistema delle industrie”, a dominare la psiche degli individui. Il premio Nobel Joseph E. Stiglitz ha analizzato (“Il prezzo della disuglianza”) proprio come il sistema politico ha trasformato la società negli ultimi decenni: secondo il premio Nobel per l’economia, infatti, “il nostro sistema politico ha lavorato via via in modo da incrementare sempre più la disuguaglianza dei risultati e ridurre l’eguaglianza delle opportunità”. Nel libro di Stiglitz e nelle analisi del sociologo Luciano Gallino (a cui si rimanda), si possono trovare, dunque, tutti i dati che testimoniano questo processo di redistribuzione bottom-up della ricchezza, il quale ha condotto, infine, allo svuotamento della classe media ed all’aumento della povertà. Come detto, una classe media svuotata ed una classe povera sempre più povera non hanno una possibilità di vita autonoma e risultano schiacciate dalla società dominante. Come uscire, dunque, da questa spirale e ritornare al fervore ed ai movimenti degli anni ’60, a quel passo dal cambiamento della società? Per Marcuse, e per noi, il mezzo principale di “liberazione delle tendenze istintuali alla pace ed alla serenità, all’appagamento dell’Eros, asociale ed autonomo” è la lotta politica. Questa non va, però, intesa come lotta per il potere o come vita di partito (i partiti fanno ben altro che Politica!), bensì come Politica nel suo senso più ampio, e classicamente aristotelico, di “garanzia di una giustizia pensata come uguaglianza giuridica e politica dei cittadini al fine del bene comune”.
A fondamento di questa lotta per il bene comune vi sono l’informazione e lo studio delle scienze sociali in generale: solo se correttamente – e liberamente – informati ed istruiti gli individui possono riprendersi la loro libertà. Quindi, l’opera di informazione, nelle università, come nelle scuole superiori e nel mondo dei lavoratori, intrapresa da soggetti liberi ed autonomi, dovrebbe porsi come base di questa lotta politica, che riporti la società ad un passo dalla libertà: come direbbe Marcuse, “libertà politica significherebbe liberazione degli individui da una politica su cui essi non hanno alcun controllo effettivo. Del pari, libertà individuale equivarrebbe alla restaurazione del pensiero individuale, ora assorbito dalla comunicazione e dall’indottrinamento di massa”.
L’ha ribloggato su danae.ricercasociale.